Uno scriptorium medioevale sorrentino
Secondo un interessante studio apocrifo intitolato “Alcuni manoscritti di contenuto astronomico prodotti e/o tramandati negli scriptoria dell’ Italia Meridionale nei secoli VIII – XII” Sorrento ospitò uno scriptorium (probabilmente benedettino) (1).
La notizia, sia pure frutto di una interpretazione esegetica, è da considerarsi attendibile anche perché desunta da un preziosissimo studio di Elias Avery Loew (e non Loewe come riportato nel testo citato in precedenza).
In effetti quest’ ultimo autore, nell’ opera da lui curata ed intitolata “The beneventan script – A history of the south italian minuscule” (2) (dedicata specificamente alla scrittura beneventana) cita varie volte il nome di Sorrento associandolo al rotolo conosciuto con il nome di Exultet n° 2 di Montecassino, ma non parla esplicitamente della presenza di uno scriptorium nella Terra delle Sirene, e nemmeno fa riferimento esplicito al monastero di San Renato.
Ciò non toglie che proprio l’ appena citato Exultet, anche per la sua squisita fattura, sebbene sia l’ unica testimonianza superstite di manoscritti religiosi sorrentini risalente al XII secolo non può essere stato frutto di una esperienza episodica ed isolata.
Diversamente sarebbe difficile spiegarne la contestualizzazione.
Se, dunque, l’ esistenza di uno scriptorium a Sorrento è da considerarsi attendibile, risulta interessante il fatto che esso utilizzava la scrittura beneventana. Ciò, tra l’ altro, a maggior riprova dell’ importanza contesto territoriale in cui si trovava la stessa Sorrento e dei vincoli che legavano la Chiesa locale rimasta ancorata al rito latino alla Badia di Montecassino.
A tale riguardo sembra interessante tenere conto di quanto contenuto nello studio già citato in precedenza ed intitolato “Alcuni manoscritti di contenuto astronomico prodotti e/o tramandati negli scriptoria dell’ Italia Meridionale nei secoli VIII – XII”.
Ciò anche perché in esso è chiaramente spiegato quanto il concetto di Italia Meridionale al quale oggi ci si riferisce è poco pregnante per rendere l’ idea dell’ effettivo stato delle cose che si registrava nel Mezzogiorno prima dell’ avvento della dominazione normanna e qual’ era il mondo nel quale si trovava a vivere Sorrento (3).
Tornando alla possibile ubicazione dello scriptorium sorrentino è da sottolineare che i dubbi provenienza dell’ Exultet n° 2 di Montecassino non sono da considerarsi definitivamente risolti in favore del monastero di San Renato.
Il primo a focalizzare il problema relativo alla identificazione del centro scrittorio della terra delle sirene, fu Andrea Caravita (la cui opinione è particolarmente autorevole al riguardo per l’ essere egli stato Prefetto dell’ Archivio cassinese).
Proprio riferendosi all’ Exultet n° 2 – ed in particolare all’ abate Pietro che lo commissionò – l’ autorevole studioso scrisse: “Non saprei dire qual monastero questi fosse Abate, giacchè parecchi erano in Sorrento; la Badia Sorrentina di S. Salvatore, di S. Agrippino, di cui fu abate S. Antonino, di S. Giovanni Crisostomo delle Benedettine, e fuori la città quella più insigne di San Renato” (4).
Sullo stesso argomento: Vincenzo Russo ha avuto modo di esprimere una propensione per il Monastero del Salvatore (5), Riccardo Filangieri di Candida (6), invece, per il Monastero di San Renato, mentre Pasquale Ferraiuolo considera un’ originale ipotesi intermedia: quella cioè che l’ Exultet sarebbe stato realizzato nel Monastero del Santissimo Salvatore, ma custodito, poi presso il Monastero di San Renato (7).
Una risposta definitiva sarebbe potuta venire da Giulia Orofino che ha elaborato un interessante studio proprio al prezioso manoscritto sorrentino, ma la studiosa – pur confermandone l’ origine sorrentina – non ha ritenuto di soffermarsi sul convento che lo produsse (8).
La questione, insomma, era e resta quanto mai controversa, ma qualora l’ ipotesi di una localizzazione dello “scriptorium” sorrentino, presso il monastero di San Renato dovesse essere “presa per buona”, si avrebbero tutti gli elementi per individuare un ulteriore prova dell’ esistenza di questo cenobio in epoca di sicuro antecedente al XII secolo.
L’ eventualità appena considerata, in ogni caso, diventa ancora più affascinante se si tiene conto del fatto che, recentemente, proprio a questo complesso monastico è stata attribuita la produzione di un manoscritto di epoca ancora più antica: l’ Omelia scritta in onore dei santi Renato e Valerio.
Pasquale Vanacore, infatti, ha evidenziato: “Questa omelia per il suo stile particolare, ricco di riferimenti alla Sacra Scrittura, viene comunemente attribuita al secolo VIII ed è quindi, la più antica testimonianza in assoluto sul culto a San Renato…… Essa fu scritta verosimilmente da un monaco benedettino o dall’ abate stesso del Monastero di San Renato in Sorrento e pronunciata in occasione della festività dei Santi Renato e Valerio, accomunati nella venerazione” (9)
Se così effettivamente fosse, dunque, non solo si potrebbe ritenere fondata l’ ipotesi relativa alla presenza di un vero e proprio scriptorium presso il monastero di San Renato, ma si avrebbe la prova che lo stesso cenobio già esisteva nell’ VIII secolo.
Fabrizio Guastafierro
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Note:
1 Il testo integrale dello studio citato è disponibile su internet collegandosi all’ url:
http://www.osservatorioacquaviva.it/view/sezioni/didattica/novita/2006/11/00000020/00000020.pdf, in esso, alla pagina 9 si legge: “per individuare i centri scrittorii dell’Italia meridionale, si è utilizzata innanzitutto la monografia del Lowe dedicata alla scrittura beneventana (6). Il Lowe ha individuato più di trenta centri scrittorii, presenti in alcune località appartenenti alla cosiddetta “Beneventan zone”, ai quali, appunto, è stato possibile attribuire testimonianze grafiche in beneventana. Si tratta principalmente di centri monastici benedettini o vescovili, presenti in città, paesi o piccoli insediamenti. In essi poteva essere presente un centro scrittorio, nel quale era attiva una pratica libraria ben avviata (Montecassino, Benevento, Bari), oppure si trattava di cenobi o chiese di importanza locale, in cui agivano amanuensi che lasciarono traccia di una pratica scrittoria, finalizzata a soddisfare alcune esigenze pratiche della comunità (redazione di documenti, produzione di testi liturgici o di testi destinati ad essere utilizzati o donati, etc.).
I centri individuati dal Lowe sono presenti nelle seguenti località (7):
Bari, Benevento, Bisceglie, Caiazzo, Capua, Cava dei Tirreni, centri della Dalmazia (Cattaro, Ossero, Ragusa, Spalato, Traù, Zara), Fondi, Gaeta, Isole Tremiti, Mirabella Eclano, Montecassino, Montevergine, Napoli, Salerno, San Bartolomeo di Carpineto, San Benedetto di Cesamo, San Benedetto di Clia, San Liberatore alla Maiella, San Lorenzo in Carminiano, San Michele, San Nicola della Cicogna, San Vincenzo al Volturno, Santa Maria di Albaneta, Sant’Angelo in Formis, Sora, Sorrento, Sulmona, Teramo, Troia, Veroli.
(6) LOWE E. A., The Beneventan Script.
(7) Ibidem, I, pp. 47-92.
2 L’ opera è stata pubblicata, per la prima volta ad Oxford nel 1929 e più recentemente è stata riproposta a Roma (nel 1980) dalle Edizioni di Storia e Letteratura, nell’ ambito della “Collana Sussidi Eruditi” (con il n° 33).
La stessa opera è consultabile su internet utilizzando l’ url:
http://www.archive.org/stream/beneventanscript00loweuoft/beneventanscript00loweuoft_djvu.txt
3 Nello studio – dalla pagina 1 alla pagina 6 – si legge: “ Prima di esporre i risultati fino a questo momento raccolti si desidera iniziare con due considerazioni metodologiche.
La prima riguarda una riflessione sul contesto storico dell’Italia meridionale nei secoli VIII-XII. Ebbene, cosa si intende per Italia meridionale nel periodo cronologico considerato? Innanzitutto si è consapevoli che l’espressione Italia meridionale rappresenta un accoppiamento di due termini forzatamente semplificato, che non si potrà fare a meno di usare in questa ricerca, ma che non rende ragione della complessità e del frazionamento politico e culturale esistente in quell’area geografica tra i secoli VIII e XII. Con Italia meridionale, infatti, si indica attualmente un territorio che comprende le regioni politico-territoriali di Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna. Per i secoli VIII-XII, invece, è difficile fornire una definizione di questa area geografica, in quanto la frammentazione politico-amministrativa e le conseguenti differenze culturali non permettono di avere un quadro chiaro e organico del contesto storico.
Le vicende storiche di questo territorio sono caratterizzate prima dall’invasione di Longobardi, i quali, dopo la morte dell’imperatore Giustiniano (565), nella primavera del 568 occuparono l’Italia settentrionale e, dopo aver sconfitto i Bizantini, stipularono con Bisanzio un trattato di pace che suddivideva l’Italia in due zone: la cosiddetta Romania (Calabria, Puglia, Sicilia, Sardegna, Corsica, Roma e il suo territorio, Ravenna e il nord delle Marche) sotto il controllo dell’impero bizantino d’Oriente, e la Longobardia, che comprendeva il resto dell’Italia, con Pavia come capitale, e il ducato di Benevento, un territorio che estese i suoi domini da Benevento al Salernitano ad altre regioni, quale il Molise, giungendo alla sua massima espansione fino al Lazio meridionale, agli Abruzzi, a Taranto e Brindisi e confinando a settentrione, attraverso le valli del Sangro e del Volturno, con l’altro grande ducato longobardo di Spoleto.
Successivamente, per opera di Carlo Magno, il dominio longobardo fu annesso al regno dei franchi, con l’eccezione dei ducati di Spoleto e del principato di Benevento, istituito ad opera di Arechi II (758-787), mentre Bisanzio conservava le isole, la Calabria e una parte della Puglia.
Per oltre un secolo (774-888) l’Italia fu inserita nel sistema imperiale carolingio, trasformato nel primo impero cristiano della storia, ma ben presto minato da una serie di debolezze interne (la formazione di poteri signorili ancorati ad ambiti locali e basati sul possesso di estesi beni fondiari, la pratica della divisione in regni minori) ed esterne (le incursioni e le invasioni di Normanni, Ungari e Saraceni, e l’islamizzazione del Mediterraneo).
Nello stesso tempo nel Sud d’Italia si verificava l’espansione degli Arabi, che muovendo dall’Africa settentrionale e dalla Spagna tolsero ai Bizantini la Sicilia e saccheggiarono le coste della Calabria, della Puglia e della Campania, spingendosi fino al monastero di Montecassino e nell’846 a Roma. Tuttavia, l’imperatore bizantino Basilio I (867-886) riconquistò nuovi territori nell’Italia meridionale (Puglia e Calabria).
Il ducato di Benevento, invece, dopo Carlo Magno, fu trasformato in principato e la capitale trasferita per un breve periodo a Salerno. Passato in vassallaggio ai Bizantini, esso riuscì comunque a difendere la propria autonomia fino a che nel 1038 il principe Pandolfo III non fu costretto a riconoscersi vassallo dell’imperatore Corrado II.
Un nuovo popolo, frattanto, entrava a fare parte della storia d’Italia, dopo che già si era imposto in Europa: i Normanni, discendenti dei Vichinghi, eccezionali navigatori che si erano stanziati nella regione francese della Normandia e si erano convertiti al cristianesimo. I ducati di Puglia e Calabria furono assegnati a Roberto il Guiscardo (1057-1085), mentre suo fratello Ruggero (1062-1101) scacciava dalla Sicilia gli Arabi e otteneva dal papa il titolo di conte. Benevento tra il 1050 e il 1055 si consegnò al papa Leone IX cacciando i principi Pandolfo III e Landolfo VI, la cui sovranità però fu ripristinata per difendere il ducato dai normanni. Dal 1077 il ducato passò alla Chiesa che lo tenne come un’enclave pontificia. Il figlio di Ruggero, Ruggero II, domando ogni contesa feudale, trasformò la Sicilia in regno nel 1130, unificando tutta l’Italia meridionale.
Alla morte di Guglielmo II, l’ultimo re normanno di Sicilia, il regno dell’Italia meridionale fu ereditato dalla figlia di Ruggero II, Costanza, che, a seguito delle nozze (1186) con Enrico VI, imperatore del Sacro romano impero dal 1191, portò il regno nella sfera di potere germanica.
Nel 1198, alla morte di Costanza, il regno di Sicilia passò a suo figlio, l’imperatore Federico II. Nella prima metà del XIII secolo Federico II, imperatore e re di Sicilia, restaurò il potere regio nell’Italia meridionale, lasciando un segno forte nell’organizzazione generale del regno: sconfisse i baroni che si erano ribellati, abbatté i loro castelli e ridusse le autonomie dei comuni.
Dal punto di vista culturale, e in particolare nell’àmbito della produzione, fruizione e trasmissione delle testimonianze manoscritte, in quest’area geografica sorsero due zone culturali parallele, quella denominata beneventano-cassinese, prima sotto il dominio dei Longobardi, poi sotto quello carolingio-normanno-svevo, e quella greca sotto il dominio di Bisanzio. Per area beneventano-cassinese si intende quell’area culturale dominata da Montecassino insieme con altri centri di studio e di produzione libraria, delimitata a Nord da una linea ideale tracciata dalla costa tirrenica a quella adriatica con i punti estremi rappresentati da Roma, Carsoli, Ascoli Piceno, comprendente a Sud l’Italia meridionale compresa nei domini longobardi ed estesa ad oriente oltre le rive dell’Adriatico, fino alle isole Tremiti e al litorale dalmata.
Si tratta di un’area autonoma, che ebbe una sua propria civiltà artistica, che conservò una liturgia distinta dalla franco-romana, che elaborò una scrittura “nazionale” e che trasmise un numero notevolissimo di testi classici, preservando tradizioni antiche, uniche o diverse e parallele rispetto alle insulari-caroline. La scrittura utilizzata prende il nome di beneventana e fu utilizzata in campo librario dagli ultimi anni dell’VIII secolo fino alla fine del XIII secolo, mentre in campo documentario fino al XVI secolo; essa, se in un primo tempo resistette all’introduzione della scrittura carolina, successivamente cedette il campo prima a quest’ultima scrittura, e poi alla gotica.
Per area di influenza greca si intende quell’area comprendente innanzitutto la Sicilia, la Calabria, parte della Campania e la Puglia meridionale, governata da Bisanzio dal VII alla prima metà dell’XI secolo, anche se non in maniera continuata a causa delle lotte fra Longobardi e Bizantini, delle incursioni arabe nelle zone costiere (la Sicilia passò agli Arabi dopo la morte di Carlo Magno), fino all’arrivo dei Normanni e, successivamente, degli Svevi.
La forza dell’influenza greca in queste regioni è mostrata dal continuo uso della lingua in Calabria e nella Puglia meridionale durante tutto il Medioevo. Ma ciò che caratterizzò quest’area culturale fu l’incontro di culture varie, la latino-longobarda, la bizantino-provinciale, l’araba, impostasi con forza tra Latini e Greci, che produsse varietà originali in ogni campo artistico.
La seconda riflessione riguarda il concetto di scriptorium e l’individualizzazione degli scriptoria attestati in quest’area geografica, al fine di metterli in relazione con la produzione grafica di tipo astronomico.
L’esigenza di questo percorso è nata per rispondere alla domanda su dove i testi di contenuto astronomico, qui censiti, siano stati trascritti, e conseguentemente, perché siano stati prodotti in quel luogo. L’ipotesi che si presenta è che questa tipologia di testi sembra essere strettamente collegata al concetto di “scuola” e, pertanto, si è dimostrato che non tutti i centri scrittorii attestati hanno prodotto e tramandato tali testimonianze manoscritte. Se, quindi, il “dove” è collegato con il “perché”, risulta chiaro che anche la produzione di codici astronomici sia legata alla fruizione e all’utilizzo dei testi stessi.
Per scriptorium si desidera intendere «un locale o insieme di locali, solitamente di una fondazione ecclesiastica, ove si svolge un’attività organizzata di trascrizione di libri»; esso, se ben organizzato, poteva essere considerato una ‘scuola scrittoria’, quando nella trascrizione dei libri si seguivano norme grafiche (ed estetiche) rigorose ed unitarie imposte da un ‘maestro’, o un ‘centro scrittorio’, quando nello scrivere v’era una più o meno ampia libertà di scelte e di modi stilistici.
A partire dal VII secolo l’attività scrittoria era attestata soprattutto in àmbito ecclesiastico (monasteri, abbazie, chiese), in special modo nelle realtà cenobitiche: qui nuove esigenze imposero il passaggio da un’attività scrittoria individuale nelle celle, come si è detto caratteristica del monachesimo antico, a quella collettiva entro un unico spazio, appunto lo scriptorium. In esso si producevano, e al tempo stesso si conservavano, i manoscritti, utili alla stessa vita monacale, donde la coincidenza o contiguità nell’alto medioevo tra scriptorium e ‘biblioteca’, dove i libri erano concepiti come valore patrimoniale. Per l’Italia meridionale, lo scriptorium di Montecassino è l’esempio più noto di centro scrittorio di età medievale, che, anzi, a partire dal tardo XI secolo fu caratterizzato da forme scrittorie rigidamente canoniche, esplicitate nella scrittura beneventana di tipo cassinese, tale da potersi definirsi anche “scuola scrittoria”.
Il secolo XII, invece, segnò il momento più intenso, ma allo stesso tempo, di rottura del modello scriptorium/biblioteca proprio dell’alto medioevo, incentrato sull’organizzazione pratica del centro scrittorio e su un sistema bibliotecario finalizzato alla conservazione del patrimonio scritto. Tale modello risultò destabilizzato dalla riforma cistercense, la quale, con il suo programma di ritorno all’austerità dell’esperienza monastica primitiva, determinò una trasformazione radicale delle funzioni del monastero all’interno e nel contesto sociale di riferimento. I monaci cistercensi, infatti, separarono lo spazio destinato allo scriptorium da quello adibito a biblioteca: i libri si consultavano in locali appositi, spesso all’interno del chiostro, dove la scelta e la conservazione degli stessi seguivano i criteri della razionalità e non vi era posto per il superfluo. La biblioteca cistercense, infatti, conteneva solo i libri liturgici e quelli necessari alle esigenze di lettura dei monasteri della comunità; non furono più prodotti libri preziosi, che dovevano essere invece sobri e modesti, e pochi erano gli autori classici ricopiati. Lo scriptorium, pertanto, non richiedeva un’organizzazione rigida, un raccordo continuo tra gli amanuensi e tra amanuensi e decoratori: di qui l’impianto non autonomo dello stesso o il suo frantumarsi in più ambienti. Il numero cospicuo di manoscritti prodotti in questo periodo è da attribuirsi solo al maggior numero di fondazioni monastiche esistenti.
Un lavoro di ricerca sui centri scrittorii dell’Italia meridionale deve tener conto della situazione politico-amministrativa di questo territorio. Come già riferito, si tratta di un’area composita, crocevia di incontro tra culture varie, la latino-longobarda, la bizantino provinciale, l’araba introdottasi con prepotenza tra latini e greci.
Il percorso di ricerca ha focalizzato l’attenzione solo sull’area beneventano-cassinese, caratterizzata, per quanto riguarda l’àmbito grafico, dall’utilizzo della scrittura beneventana. Essa costituì la scrittura dei territori e delle popolazioni di cultura latino-longobarda dell’Italia meridionale dalla fine del secolo VIII a buona parte del XII.
4 D. Antonio Caravita, Prefetto dell’ Archivio Cassinese “I codici e le arti a Monte Cassino”, pubblicato nel 1869 “per tipi della Badia”. (pagina 308 del primo volume). L’ opera può essere scaricata o, comunque, consultata, grazie a Google libri, collegandosi all’ url:
http://books.google.it/books?id=X4sDAAAAYAAJ&printsec=frontcover&dq=caravita+I+codici+e+le+arti+a+Monte+Cassino&hl=it&ei=EUmOTav6K8PO4AaPyJG5Cw&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=1&ved=0CC8Q6AEwAA#v=onepage&q&f=false
5 Vincenzo Russo, “Sorrento Medioevale”, pubblicato a Sorrento nel 1978 dalla Tipografia “Gutenmberg ‘72” di Michele Gargiulo. In particolare si veda la nota a commento dell’ immagine riproducente un dettaglio dell’ Exultet n° 2 (a pagina 30).
6 Riccardo Filangieri di Candida, “Sorrento e la sua Penisola”, edito nel 1910 e ri – editato a Bergamo nel 1929 dall’ “Istituto Italiano d’ Arti Grafiche”. In quest’ ultima edizione alla pagina 84 si legge: “Se il ducato sorrentino, come tutta quanta la Campania ducale, fu nell’ alto Medio-evo vigile custode della tradizione romana, non vi mancano nelle manifestazioni artistiche influenze bizantine.
Di arte pittorica di quel ciclo non esiste più nulla. Ne sarebbero stati forse un importante documento gli affreschi della grotta, che la tradizione fa la dimora di San renato nel VI secolo, e che fin dal secolo VIII appartenne al cenobio cassinese di Sorrento; ma essi sono stati dolorosamente distrutti ai nostri giorni. L’ istesso monastero ci ha tramandato un Exultet, ora in Montecassino, che fu alluminato nel 1110 da un monaco sorrentino in uno stile, che il Bertrax chiama arcaico e puerile per non aver risentiti i progressi di tecnica e composizione già raggiunti dai miniaturisti cassinesi della fine del secolo XI.
7 Pasquale Ferraiuolo -“La Chiesa Sorrentina e i suoi Pastori” (pubblicato a Castellammare di Stabia da EIDOS Nicola Longobardi Editore, nel 1991, grazie alla Venerabile Congregazione dei Servi di Maria di Sorrento” a pagina 74 scrive: “L’ immagine miniata dell’ arcivescovo Barbato figura insieme a quella dell’ abate Pietro del monastero del Santissimo Salvatore, ai lati del Pontefice Pasquale Ii nello splendido rotulo liturgico dell’ Exultet, lavoro eseguito a Sorrento fra il 1105 e 1100, ancora oggi conservato nell’ archivio dell’ abbazia di Montecassino, ove fu portato dai monaci di San Renato….”
8 Giulia Orofino – “Montecassino, Archivio dell’ abbazia, Exultet 2” in “Exultet – Rotoli liturgici del medioevo meridionale” pubblicato a Roma nel 1994 dall’ Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato – Libreria dello Stato. Da pagina 377 a pagina 392.
9 Pasquale Vanacore – “San Renato di Sorrento – tra leggenda e storia, documenti e testimonianze” – Pubblicato nel 1999 a Castellammare di Stabia da Nicola Longobardi Editore per conto della parrocchia di Moiano, pagine 61.