L’ alternanza delle grafie in uso a Sorrento
A prescindere dalla identità del centro presso il quale gli amanuensi sorrentini curarono la produzione dei preziosi documenti, resta incontrovertibile il fatto che per la compilazione del rotolo sul quale è raffigurato il già più volte citato Exultet n° 2 di Montecassino fu adoperata una grafia di tipo beneventano (1).
Pur nella consapevolezza di cedere alla tentazione di lasciarsi andare ad una divagazione, appare interessante evidenziare che l’ apparato ecclesiastico sorrentino fu certamente in grado di produrre significative opere fin da epoca remotissima.
Se – come si è già avuto modo di rilevare – l’ uso della grafia beneventana nella Terra delle Sirene era sicuramente diffuso, meno facilmente dimostrabile, è l’ uso, quasi contemporaneo della grafia carolina nello stesso contesto .
L’ ipotesi è considerata in un testo la paleografia latina (2) e confortata da quanto genericamente considerato dal già citato testo intitolato “Alcuni manoscritti di contenuto astronomico prodotti e/o tramandati negli scriptoria dell’ Italia Meridionale nei secoli VIII – XII”. In esso, infatti, si legge: “Verso la fine dell’XI secolo, tuttavia, si verificò in alcuni centri, quale quello di Montecassino, l’utilizzo parallelo della scrittura beneventana e di quella carolina. Questo fenomeno divenne anche più evidente nel XII secolo e in seguito. La beneventana, ad ogni modo, continuò a sopravvivere come modello grafico principale. In alcuni centri, come sarà spiegato in seguito, essa fu sostituita prima dalla carolina e poi dalla gotica” (3).
Pur verosimile, in ogni caso, l’ ipotesi dell’ utilizzo della grafia carolina a Sorrento risulta essere priva di significativi elementi probatori.
Più facilmente dimostrabile, invece, è la possibilità che nella stessa Città del Tasso, fosse invalso – in epoche evidentemente precedenti – l’ utilizzo dei caratteri longobardi.
A prescindere dal testo dell’ Omelia in lode dei Santi Renato e Valerio a cui si è già fatto riferimento in precedenza (e che risalendo all’ VIII secolo potrebbe essere stata scritta proprio con caratteri longobardi), si ha notizia della probabile esistenza a Sorrento anche di un altro manoscritto vergato, probabilmente, con lo stesso tipo di carattere.
Questo, naturalmente, sempre che si voglia prendere per buona la premessa con la quale Davide Romeo dedica la sua opera intitolata “Quinque Divi Custodes ac Praesides urbis Surrenti” (4) a Iacopo Brancaccio quando scrisse: “Ora ti parlerò dell’ opera. Nello svolgere la narrazione non ho trascurato le sue regole, infatti, giacché dal tuo stesso zio paterno Lelio mi è stato donato un libro manoscritto del sacerdote Andrea……che era annoverato nell’ ordine di S. Benedetto e che, vivendo presso il monastero di San Renato a Sorrento, per quei tempi (come seppi dallo stesso Lelio e da altri) scrisse questo libro, dopo aver cambiato e tolto molte cose da un libro che, come dicono, era scritto in caratteri longobardici e veniva conservato nel tempio delle vergini e dei sacerdoti consacrato ai SS. Paolo e Giovanni finché, incendiata la città e la cappella dai Turchi, andò bruciato”.
La qual cosa ancora una volta, dunque, sia pure in maniera incidentale, riporta alla storia del monastero di San Renato che se non fu centro di produzione “libraria”, certamente dovette vantare una preziosissima biblioteca.
Quanto all’ uso delle grafie che si succedettero nel tempo, (longobarda, carolina e beneventana) deve essere sottolineato che esse furono quasi sicuramente adoperate solo in ambito ecclesiastico dal momento che sul fronte “civilistico” si diffuse l’ uso della cosiddetta scrittura curialesca che l’ imperatore Federico II ritenne tanto incomprensibile ed insidiosa (perché considerata quasi alla stregua di una antica forma di crittografia) da renderla odiosa, fino al punto di avvertire l’ esigenza di prevederne l’ esplicita soppressione nelle Costituzioni Melfitane.
L’ imperatore, al riguardo, non potendo esprimere esplicitamente la propria diffidenza verso una grafia che aveva evidenti origini bizantine, preferì affermare che la decisione veniva presa affinché gli atti fossero redatti ricorrendo ad una scrittura leggibile da parte di tutti (5).
Fabrizio Guastafierro
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Note:
1 Giulia Orofino – “Montecassino, Archivio dell’ abbazia, Exultet 2” in “Exultet – Rotoli liturgici del medioevo meridionale” pubblicato a Roma nel 1994 dall’ Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato – Libreria dello Stato. Da pagina 377 a pagina 392.
2 Il testo intitolato “Lezioni di paleografia latina in base al manuale di Armando Petrucci (Breve storia della scrittura latina) e al corso tenuto da Paola Supino all’Università la Sapienza di Roma” è consultabile su internet utilizzando la seguente url: http://www.olaszirodalom.hu/letoltesek/paleo%20alma%20teljes.doc
In particolare, sullo specifico argomento, si legge: “Campania: regione vasta e differenziata politicamente e culturalmente. Nei ducati di influenza bizantina (Napoli, Amalfi, Sorrento) la produzione libraria avveniva sia in beneventana, sia in diversi tipi di carolina”.
3 In questa sede si rinnovano, esemplificativamente, i rinvii a Elias Avery Loew, “The beneventan script – A history of the south italian minuscule” pubblicato, per la prima volta ad Oxford nel 1929 e più recentemente riproposto a Roma (nel 1980) dalle Edizioni di Storia e Letteratura, nell’ ambito della “Collana Sussidi Eruditi” (con il n° 33).
4 Davide Romeo in “Quinque Divi custodes ac praesides urbis Surrenti”, stampato a Napoli nel 1577, pagina 247.
5 Liber Augustalis – Le Costituzioni Melfitante di Federico II di Svevia (traduzione e glosse di Franco Porsia), pubblicato a Bari nel 1999 da Edizioni B. A. Graphis (pagine 61 e 62): “IL MODO DI SCRIVERE I DOCUMENTI – Abolendo con una legge limpidissima le consuetudini che abbiamo udito essere in vigore una volta in alcune parti del Nostro Regno, decretiamo che gli strumenti pubblici e qualsiasi cauzione siano scritti dai Nostri notai con scrittura comune e leggibile, del tutto abolito il modo di scrivere che si conserva fino ad ora nelle città di Napoli, nel ducato di Amalfi e di Sorrento. Vogliamo anche e stabiliamo che i predetti strumenti pubblici e le altre simili cauzioni siano redatti da ora in poi su pergamena. Poiché si spera che la loro fede sia duratura e lunga nei tempi futuri, pensiamo che sia giusto che quei documenti non corrano il pericolo di essere distrutti per vecchiezza. Da quegli strumenti scritti su carta di papiro o in altro modo non venga ricavata nessuna prova nei giudizi o fuori di essi, a meno che non si tratti di ricevute e di controricevute. I documenti redatti su carta bambagina nei predetti luoghi di Napoli, di Amalfi e di Sorrento, entro un biennio dal giorno della pubblicazione di questa disposizione, siano ricopiati in comune scrittura leggibile.”.