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La nobiltà fuori seggio di Sorrento

Il concetto di nobiltà e quello di patriziato, spesso, sono assoggettati ad incredibili forme di arbitrio e può accadere che gli studiosi, a seconda della tesi che intendono sostenere o avvalorare, ne propongano interpretazioni e chiavi di lettura assolutamente stridenti tra loro.
Calando questa considerazione sulla realtà della Penisola Sorrentina, dobbiamo constatare la profonda diversità esistente tra le posizioni espresse, al riguardo, da due eminentissimi studiosi che, nell’ interessarsi alle vicende storiche della Terra delle Sirene, ebbero modo, per l’ appunto, di affrontare anche i temi della nobiltà e del patriziato locale.
Riccardo Filangieri di Candida, ad esempio, – come ricordiamo altrove – soffermandosi sulle famiglie illustri di Massa Lubrense, agli inizi del Novecento, ebbe modo di puntualizzare che, pur non esistendo un seggio nobiliare cittadino, esisteva un patriziato massese. E, sul punto, aggiunse che “bisogna intendere il vocabolo patrizii nel suo prisco significato di Patres, come furon detti al tempo della Roma antica i reggitori della cosa pubblica”. Ciò non senza aver sottolineato che molte famiglie di quel territorio, fin da tempi antichi, vi hanno vissuto da veri nobili ed hanno, in seguito, goduta nobiltà nei seggi di altre piazze(1).
Bartolommeo Capasso, invece, verso la metà dell’ Ottocento, riferendosi all’ aristocrazia sorrentina, ritenne che non poteva esserci altra forma di autentico patriziato se non quello del quale erano interpreti le famiglie che parteciparono attivamente alla vita del Sedile di Porta o del Sedil Dominova. Lo stesso studioso, rilevando che in alcuni documenti notarili anche famiglie considerate “civili” – perché, al massimo, ammesse a frequentare il seggio del popolo – puntualizzò: “Gli individui appartenenti a queste famiglie prendevano il nome di onorati e di nobili persone, titolo che a quel tempo era dai patrizi schifato”.
Rispetto a due posizioni così diverse e così integraliste diventa difficile propendere per l’ una o l’ altra tesi, anche in considerazione del fatto che ci si trova al cospetto di due autorevolissimi accademici, entrambe unanimemente apprezzati tanto sul fronte della ricerca, quanto su quello della produzione “libraria”.
Nel tentativo di individuare una giusta forma di equilibrio tra le due posizioni appena prese in considerazione e di trovare un ragionevole compromesso su una materia così spigolosa, ci sembra corretto ritenere che la più corretta sintesi sull’ argomento, sia stata quella individuata da  Gaetano Canzano Avarna.
Questi, infatti, (pur responsabile di una eccessiva sintesi e di numerosi, quanto clamorosi abbagli), nel soffermarsi sulla patriziato sorrentino oltre ad offrire un quadro della nobiltà frequentante il Seggio di Porta a Sorrento ed il Seggio Dominova a Sorrento, individua anche l’ esistenza di quella che lui stesso definisce come la nobiltà fuori seggio di Sorrento(3).
Molti, in questo caso, gli spunti condivisivili.
Proprio questo autore, infatti, al riguardo scrive: “Sorrento al pari di tutti le cospicue città ebbe pure la sua nobiltà fuori Seggio cha ben può ravvisarsi nelle famiglie AjelloAuriemma, Cacace, Cota, Fioda, Lauro, Maresca, Massa, Mastellone, della Noce e forse in molte altre delle quali non abbiam potuto appurare opportune notizie. Tale nobiltà per la maggiore parte derivante dagli ufficii, e dalle altre dignità accenna sempre a decorosa operosità e ad innalzamento mercé il proprio ingegno e virtù, per la qual cosa è da ritenersi parimenti vera illustrazione delle famiglie e della città. Se non che togliendo norma dalle leggi nobiliari in vigore nel già Reame delle Due Sicilie, sentiam debito dichiarare che intendiamo come nobili quelle famiglie che avessero raggiunto un’ alto ufficio di Chiesa, di spada, di toga o di Corte atto ad imprimere nobiltà trasmissibile nei discendenti, da valere come titolo primordiale, consolidato dal corso di lunghissimo tempo senza che fossero discesi ad ufficii popolari, o ad arti meccaniche ed ignobili”(4).
Ed in effetti, le famiglie prese in considerazione dal Canzano Avarna pur non partecipando né alle attività del Sedil Dominova, né a quelle del Sedile di Porta, nel corso dei secoli ebbero modo di poter vantare uno (o più di uno) dei requisiti individuati per poter meritare la qualifica di nobili.
Anzi alcune di esse oltre a poter vantare la presenza di rami discendenti dallo stesso albero genealogico che divennero feudatarie ed insignite di vero e proprio titolo nobiliare, furono annoverate tra le più autorevoli ed antiche dell’ intero Regno di Napoli, come è testimoniato, ad esempio, dalla presenza dello stemma della Famiglia Fiodo nel cosiddetto Codice di Santa Marta (su cui avremo modo di soffermarci in altra sede).
A prescindere da queste valutazioni, in ogni caso, ci sembra doveroso sottolineare che sempre Canzano Avarna individua anche un’ altro spunto meritevolissimo d’ attenzione quando scrive: “Dichiariamo inoltre che sotto il nome di Sorrento intendiam comprendere tutto il suo piano, imperocché é noto che in varii Comuni che da esso derivarono furono creazione del presente secolo, peperò la Storia del Piano va congiunta a quella di Sorrento”(5).
Si tratta di una precisazione che appare puntuale soprattutto se si considera che, effettivamente, le realtà municipali di Piano di Sorrento, Sant’ Agnello e Meta – a coronamento di pur antiche espressioni campanilistiche – sono andate enucleandosi rispetto all’ antica Sorrento (o si sono divise tra loro) solo nel corso del XIX secolo.
Volendo considerare come famiglie nobili fuori seggio di Sorrento anche quelle che il Capasso indica come espressioni del popolo, oltre alla famiglia Ajello, alla famiglia Auriemma, alla famiglia Cacace, alla famiglia Cota, alla famiglia Fioda, alla famiglia Lauro, alla famiglia Maresca, alla famiglia Massa, alla famiglia Mastellone ed alla famiglia della Noce (sulle quali si sofferma Gateano Canzano Avarna(6) con maggiore dovizia di particolari) dobbiamo annotare anche la famiglia Arnese, la famiglia Raparo, la famiglia Starace, la famiglia de Jardeno, la famiglia Tabalia, la famiglia de Ponte, la famiglia Cenamo e la famiglia de Angelis(7).
Ferma restando la diversità d’ opinione dell’ autore circa i concetti di nobiltà e patriziato, in ogni caso, sono da sottolineare alcuni aspetti relativi alla collocazione territoriale di alcune famiglie.
Capasso, infatti, tra le famiglie civili agiate di Sorrento città, individua i de Jardeno, i de Masso, gli Arnese, i Raparo, gli Auriemma, gli Starace, mentre tra quelle del Piano colloca i Mastellone, i Maresca, i de Ponte, i Tabalia ed i Cennamo (puntualizzando che queste due famiglie di ricchi mercanti si erano stabilite in zona solo in epoca successiva rispetto alle altre, come si evincerebbe da alcune lettere di Bernardo Tasso)(8).
Rinviando gli approfondimenti sulle famiglie già citate (e su altre ancora) ad altra sede riteniamo doverosa una ultima puntualizzazione alcune delle casate prese in considerazione possono vantare una antichissima residenza (forse addirittura l’ origine) in Penisola Sorrentina (Maresca, Fiodo, Mastellone etc.) come addirittura si può arguire da documenti risalenti ad epoca normanna.
Le stesse (ed altre ancora) hanno vantato tra i loro discendenti anche nobili titolati o che hanno contratto matrimoni dai quali sono nate casate che hanno goduto di feudi e titoli propri.
Per tutte valga un esempio: quello dei Maresca Donnorso Correale Revertera di Serracapriola.
Che si considerino le corone (come vorrebbe il Capasso) o si prenda in esame la condizione di patres (come vorrebbe Filangieri), insomma, il risultato – in diversi casi -cambia poco.
Una ragione in più per considerare che molte di queste schiatte – a ragion veduta – hanno diritto a rivendicare un posto tanto nella nobiltà quanto nel patriziato sorrentino e, dunque, per condividere – una volta di più – anche se solo in questo caso – la tesi sostenuta da Canzano Avarna a proposito dell’ esistenza di una nobiltà fuori seggio sorrentina.
Fabrizio Guastafierro

NOTE:
(1) Riccardo Filangieri di Candida, Storia di Massa Lubrense, pubblicato a Napoli nel 1910 e ristampato da Arte Tipografica di Napoli nel 1974 (a pagina 307).
(2) Bartolommeo Capasso, “Il Tasso e la sua famiglia a Sorrento”, stampato a Napoli dalla Stamperia di Matteo Vara nel 1866 e ristampato a Napoli da Edizioni Scientifiche Italiane nel 1997 (a pagina 28).
(3) Gaetano Canzano Avarna, “Cenni storici sulla Nobiltà Sorrentina”, stampato a Sant’ Agnello dalla Tipografia Editrice all’ insegna di San Francesco d’ Assisi nel 1880 e ristampato, a cura dell’ Associazione Studi Storici Sorrentini presso la Tipolitografia Gutenberg ’72 di Sorrento, nel 1992 (da pagina 42 a pagina 58).
(4) Opera già citata nella precedente nota (3) a pagina 42.
(5) Opera già citata nella precedente nota (3) sempre a pagina 42.
(6) Opera già citata nella precedente nota (3) da pagina 48 a pagina 58.
(7) Opera già citata nella precedente nota (2) alle pagine 27 e 28.
(8) Opera già citata nella precedente nota (2) sempre alle pagine 27 e 28.