Masaniello di Sorrento e la rivoluzione del 1547
Crediamo che siano pochi quelli che, almeno una volta nella vita, non abbiano sentito parlare o non si siano appassionati alla storia di quel Masaniello (ovvero Tommaso Aniello d’ Amalfi che si è scoperto essere di origini napoletane e non amalfitane) il quale, nel 1647, fu a capo di una delle più grandi rivoluzioni promosse nella città di Napoli al fine di manifestare l’ insofferenza popolare verso nuove ed inaccettabili vessazioni tributarie imposte nel periodo della dominazione spagnola.
Questo Masaniello, forte di una mobilitazione popolare permanente che poteva contare su pochi precedenti di eguale portata, almeno per un breve lasso di tempo, riuscì a far sì che il vicerè del tempo, Rodrigo Ponce de León, desistesse dal proposito di rendere ancora più asfissiante la pressione fiscale sui sudditi partenopei.
Nell’ arco di poche settimane, però la situazione precipitò e lo stesso Tommaso Aniello d’ Amalfi, dopo essersi lasciato affascinare dai piaceri procuratigli da una improvvisa fortuna culminata con la frequentazione degli ambienti della corte vicereale partenopea e la concessione di grandi poteri, finì miseramente ucciso da quello stesso popolo di cui era stato paladino, perché accusato di avere tradito la sua causa.
Pochi, invece, sanno che esattamente cento anni prima, ovvero nel 1547, ci fu un altro Masaniello (ossia Tommaso Aniello da Sorrento) che comandò un’ altra ribellione che, in questo caso, vide trasversalmente impegnati popolani, borghesi e nobili, oltre che tanti “compagnoni” (ovvero i primi camorristi romantici napoletani che erano ben lungi dal potere essere paragonati a quelli attuali).
Purtroppo, con il trascorrere degli anni, la gloria e la fama del Masaniello di origini sorrentine, sono andate “sbiadendo”; quasi fino al punto di essere dimenticate.
Eppure egli fu a capo di una delle più clamorose insurrezioni che l’ allora capitale del Viceregno spagnolo di Napoli, abbia mai conosciuto.
La “pietra dello scandalo” che generò l’ indignazione dei napoletani in quella circostanza?
Il tentativo di introdurre nella realtà partenopea il Tribunale della Santa Inquisizione da parte del vicerè (oltre che Marchese di Villafranca) Don Pedro Alvarez di Toledo y Zuniga, d’ accordo con i vertici ecclesiastici.
L’ ipotesi, anche quando era lontana dall’ essere concretizzata, fu motivo di un diffuso malcontento perché tutti temevano che – come già era accaduto altrove – chiunque fosse finito nel mirino di falsi accusatori, potesse ritrovarsi nella condizione di essere indagato, torturato e quasi certamente condannato a morte.
La storia, purtroppo, ci insegna che, soprattutto in Spagna, nel solco di una tradizione iniziata dal domenicano Tomas de Torquemada, furono più numerosi i casi degli innocenti strumentalmente perseguitati in nome di una vera e propria caccia alle streghe ed agli eretici, piuttosto che quelli di quanti avrebbero meritato di essere realmente oggetto dei processi promossi dagli inquisitori.
Da ciò una legittima preoccupazione per tutti: con l’ entrata in attività del tribunale delle Santa Inquisizione, chiunque si sarebbe potuto considerare come un soggetto a rischio.
Nessuno, infatti, si sarebbe ritrovato nella condizione di potersi considerare fuori pericolo rispetto alle conseguenze procurate da accuse anche fittizie.
Ciò valeva non solo per i veri eretici napoletani (che avevano abbracciato la causa di Valdes, di derivazione luterana), ma anche per nobili considerati troppo autorevoli, ricchi e soprattutto invidiati; così come valeva per facoltosi borghesi e commercianti oltre che per quei “compagnoni” che pure erano a capo di potenti bande armate.
L’ essere portati davanti a quell’ abominevole tribunale – ancorchè con accuse destituite do ogni fondamento – sarebbe equivalso al vedere tramontare qualsiasi fortuna ed all’ avere poche probabilità di rimanere in vita.
Questo perché le accuse mosse nei confronti di un presunto eretico o di una presunta strega (a prescindere dalla loro reale colpevolezza), quasi sicuramente, ne avrebbero comportato la salita sul patibolo e la probabile messa al rogo, oltre che la perdita di beni e ricchezze.
E, come se non bastasse, non era da escludersi che il supplizio fosse preceduto dal sistematico ricorso all’ uso delle torture più strazianti ed atroci, che spesso finiva con il procurare l’ estorsione di confessioni spontanee, ancorchè ben lontano dall’ essere veritiere.
In questo senso ampie prove erano già da tempo state date in quella Spagna a cui Napoli era ormai da tempo sottomessa.
Proprio nella realtà iberica, infatti, le denunzie al Tribunale della Santa Inquisizione, anche se false, anonime o calunniose, si erano già rivelate come un potentissimo strumento per disfarsi di rivali e di concorrenti, di persone invidiate in genere, di coniugi infedeli o non più graditi, di avversari politici, di uomini considerati troppo ricchi o troppo potenti, ma anche di poveri derelitti “colpevoli” di essere entrati in contrasto con altri meschini.
Nessuna altra accusa poteva essere considerata più grave che quella di eresia o di stregoneria.
Essa non prevedeva immunità per alcuno.
Reati di questo genere potevano essere purgati solo con l’ essere messi al fuoco o, comunque, con l’ andare incontro a morte certa.
Rispetto a questi rischi – senza distinzione di condizione sociale, né di ricchezza – i napoletani si ribellarono e Tommaso Aniello di Sorrento fu il primo e più importante paladino di questa insurrezione che si protrasse per circa tre mesi e che cessò quando Carlo V dispose che Don Pedro di Toledo desistesse dall’ intenzione di istituire il Tribunale della Santa Inquisizione nel viceregno.
Dalle evoluzioni del moto insurrezionale del 1547 non derivarono solo conseguenze per Tommaso Aniello da Sorrento, ma anche per alcuni altri sorrentini – tra i quali addirittura Torquato Tasso – e per la intera Penisola Sorrentina.
Non essendo possibile affrontare tanti argomenti in maniera monografica, abbiamo valutato positivamente l’ opportunità di suddividere i risultati delle nostre ricerche ricorrendo alla elaborazione delle seguenti pagine.
Tra di esse quelle già pubblicate sono evidenziate in rosso e sono consultabili nediante l’ utilizzo di appositi link.
– L’ epopea di Tommaso Aniello nel 1547
– Tommaso Aniello di Sorrento – Origini, brevi cenni biografici e curiosità
– Le conseguenze per il fratello del Masaniello Sorrentino
– Il prezzo pagato da Bernardo e Torquato Tasso
– L’ arrivo a Sorrento del consultore della Santa Inquisizione
– Spunti bibliografici
Fabrizio Guastafierro
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