9) I vessilli di Sorrento che non sono autorizzati
Una verifica effettuata presso l’ Ufficio Onorificenze e Araldica del dipartimento del Cerimoniale dello Stato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha riservato una prima serie di sorprese.
Agli atti del competente ufficio, infatti, non è risultata nessuna autorizzazione (e neppure nessuna domanda finalizzata ad ottenerla) per l’utilizzo del gonfalone e della bandiera.
Sulla materia le disposizioni di legge (quelle dettate dai Regi Decreti 651 e 652 del 7 giugno 1943) sono chiare: le procedure da seguirsi sono le stesse di quelle previste per richiedere l’autorizzazione all’utilizzo dello stemma. In questo senso, invece, fino a qualche tempo fa, al Comune di Sorrento, nessuno ha mai istruito alcuna pratica.
Ma non basta. Alla illegalità sostanziale che si è riscontrata in merito alla esposizione “abusiva” di bandiera e gonfalone, infatti, si uniscono anche gravi vizi formali.
Gonfalone di Sorrento e bandiera di Sorrento, infatti, non risultano essere rispettosi dei principi araldici.
Ciò perché per lo sfondo degli stessi non è consentito l’utilizzo di un colore uguale a quello dominante che caratterizza il “campo”, mentre è comunque suggerito l’utilizzo di un colore già contenuto nell’arma.
In questo contesto è opportuno precisare che i colori araldici utilizzabili sono sette e non comprendono quelli dei metalli.
Per questa ragione, non potendosi utilizzare l’argento che caratterizza i cinque fusi sorrentini è auspicabile (ma l’auspicio ha il tono dell’imperativo categorico espresso in maniera cortese) l’uso del bianco.
Nel caso del vizio riscontrato le “colpe” ricadono su quanti si sono succeduti alla guida del governo cittadino dal dopoguerra in poi, visto che l’obbligo della richiesta per ottenere l’autorizzazione all’uso della bandiera e del gonfalone è stato statuito con i già richiamati Regi Decreti 651 e 652 del 1943.
Peraltro andrebbe approfondita qualche ricerca per stabilire chi fu il brillante pensatore che arrogandosi la facoltà di operare improvvide scelte cromatiche ha stabilito di far realizzare in rosso (e non, come già sottolineato, in bianco) il fondo del più volte richiamato gonfalone e bandiera.
A prescindere dalla materiale identità del maldestro artefice del plagio, si può affermare che esso non appartiene ad epoca remota.
Durante il ventennio fascista, infatti, il gonfalone rispettava i canoni araldici come si può rilevare da alcune testimonianze fotografiche.
Il popolo dei maldestri, in ogni caso, è molto più numeroso di quanto si possa credere e tra le sue fila si nasconde perfino chi meno ci si aspetta.
Se così non fosse, il locale consiglio comunale, nell’adottare lo Statuto, non avrebbe previsto di modificare gli ornamenti del blasone sorrentino ipotizzando l’utilizzo di un ramo di alloro incrociato con uno di olivo.
Né nell’articolo 6 dello stesso Statuto (riservato alla definizione del Territorio, al Gonfalone e allo stemma del Comune) sarebbero state contenute tante imprecisioni. In esso, infatti, si legge: “Il Comune ha un proprio stemma e un proprio gonfalone con le seguenti caratteristiche: campo rosso a cinque losanghe uguali di argento, accostate e messe in fascia, fregiato da ornamenti di città costituiti da rami di alloro e olivo ai lati dello scudo, sovrastato da corona e cinque torri”.
In effetti le torri sono otto e non cinque dal momento che nel già richiamato Regio Decreto numero 652 del 7 giugno 1943, a proposito delle caratteristiche della corona di cui si fregiano le Città dice che essa “è formata da un cerchio d’oro aperto da otto posterle (cinque visibili), con due cordonate a muro sui margini, sostenenti otto torri (cinque visibili) riunite da cortine di muro, il tutto d’oro e murato di nero)”.
Anche su questo punto non ci sono dubbi: il più volte richiamato disegno allegato al Decreto firmato da Benito Mussolini nel 1928 offre l’unica raffigurazione dello stemma sorrentino che ha forza di legge.
In esso gli ornamenti sono costituiti da un ramo di quercia e da uno di mirto.
Fino a quando non si inoltreranno specifiche richieste per poter legittimamente operare modificazioni (all’Ufficio Onorificenze e Araldica del Dipartimento del Cerimoniale dello Stato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri), nessuna variazione ha validità giuridica, né alcun tipo di efficacia.
Il che equivale a dire che, al di là di ogni malevola considerazione di carattere politico, allo stato attuale, nello stemma di Sorrento non esistono né rami di quercia, né d’olivo!!!
Sterili e accademiche, dunque, sono le polemiche sul fatto che possa trattarsi di olivo o, invece, di ulivo.
E’ come parlare di qualcosa che non c’è!
© Testo integralmente tratto da “Lo stemma della Città di Sorrento, origine e significato, certezze ed ipotesi, note araldiche e cavalleresche” di Fabrizio Guastafierro, pubblicato a Sorrento nel 2005 da Edizioni Gutenberg ’72 Sorrento