15) Gli stemmi su mappe, dipinti, disegni ed incisioni di Sorrento
Le chiese ed i monasteri della Penisola Sorrentina si sono sempre rivelati importanti pietre miliari ed inesauribili “miniere” di documenti, di notizie e di spunti nei processi di ricostruzione della storia patria.
I documenti custoditi nelle strutture ecclesiastiche, al pari di sculture e dipinti hanno offerto ed offrono testimonianze di impareggiabile valore in tutti i tentativi di ricostruire il passato della Città del Tasso. Non è così, però, per lo stemma civico. Malgrado la cospicua presenza di insegne delle famiglie patrizie, abbiamo quasi invano tentato di individuare un’opera, una lapide o un particolare architettonico che raffigurasse l’arma di Sorrento.
Fatte salve tutte le opportune verifiche che potranno venire in futuro, allo stato, abbiamo individuato tre sole eccezioni presso la Basilica di Sant’Antonino.
Esse riguardano:
— La miniatura (solitamente esposta nella cripta della stessa Basilica in occasione delle celebrazioni in onore di Sant’Antonino del 14 febbraio) della statua donata dai Sorrentini al Duomo di Castellammare di Stabia nel 1935.
Essa, peraltro, rispetto all’esemplare più grande, differisce per il fatto che, ai piedi del Santo è raffigurato il solo stemma della Città del Tasso e non anche quello della vicina realtà stabiese. L’epoca della sua realizzazione è, comunque, recente.
— Il basamento ligneo (realizzato nella seconda metà del millesettecento e restaurato nel 1859), sul quale viene poggiata la statua d’argento del Santo Patrono in occasione delle processioni devozionali. Ai quattro angoli di questo spiccano in bella evidenza altrettanti stemmi cittadini.
— Una poltrona di epoca compresa tra la fine del 1600 e l’inizio del 1700 su cui spicca l’insegna del capoluogo peninsulare.
Circa i tre casi individuati, si ritiene doveroso precisare che tanto sulla poltroncina quanto sul basamento ligneo cui ci si è appena riferiti, la “pezza onorevole” dell’ arma raffigurata contiene cinque losanghe e non cinque fusi.
La miniatura, invece, presenta uno stemma cittadino che, per certi versi, può considerarsi unico, dal momento che contiene un fuso centrale di dimensioni maggiori rispetto ai restanti quattro.
La qual cosa, almeno in parte, contribuisce ad attenuare l’abbaglio di cui è rimasto vittima Canzano-Avarna. Quanto agli accostamenti tra oggetti (sacri o, comunque, di proprietà ecclesiastica) che potrebbero confermare il richiamo dello stemma cittadino a specifici aspetti devozionali, non si può fare a meno di rilevare che, sicuramente, quelli individuati rappresentano ben poca cosa, rispetto ad un patrimonio così ricco d’altre testimonianze. Molto più numerosi, invece, – ma non per questo utili ai fini del nostro studio – sono i quadri che riportano vedute più o meno fedeli del capoluogo peninsulare o la raffigurazione di nobili locali. Essi, tra l’altro, sono visibili, nella Cattedrale, nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie, in quella dei Servi di Maria e, naturalmente, nella stessa Basilica patronale. Sotto il profilo “editoriale”, invece, abbiamo individuato un’ unica testimonianza degna d’attenzione: quella offerta dal frontespizio del libro intitolato “Memorie Istoriche della fedelissima ed antica Città di Sorrento”, fatto pubblicare nel 1740 da Vincenzo Donnorso. L’insegna che vi è raffigurata, però, viene proposta in uno stemma troncato sul cui capo appaiono cinque losanghe. Il che presta il fianco a qualche perplessità che, però, può essere superata considerando le numerose licenze storiche e blasoniche che l’autore si è concesso anche nell’affrontare la parte riservata alle famiglie nobili locali.
Particolarmente interessante, infine, è il discorso da sviluppare su mappe, disegni ed incisioni realizzati tra il primo scorcio del cinquecento ed i primi anni del XVIII secolo. Essi non forniscono solo dettagli cartografici fondamentali per ricostruire l’evoluzione urbanistica di Sorrento nel corso dei secoli, ma offrono anche indicazioni utili per ottenere la conferma dell’esistenza dello stemma cittadino in un passato assai remoto. In questo senso, infatti, c’ è da rilevare che mentre le due incisioni a bulino di Cassiano da Silva – pubblicata da Domenico Antonio Parrino – (1700) e di Vincenzo Maria Coronelli (1707) non riportano l’arma sorrentina, quella di Giovan Battista Pacichelli (1703) sì. Il che contribuisce a mettere un ulteriore punto fermo nel tentativo di stabilire datazioni certe.
Proprio soffermandosi sulla raffigurazione fornita dal Pacichelli (che, tra l’ altro, si è trasformata in soggetto “ispiratore” per la realizzazione di numerose rielaborazioni) è il caso di formulare una puntualizzazione: le imperfezioni che si riscontrano anche in questo
caso in merito alla riproduzione dell’arma sorrentina, tanto per la scelta dei colori e quanto per la foggia, non devono trarre in inganno.
Il fatto che i fusi siano proposti all’interno di una “fascia”, con colore scuro, mentre il campo è caratterizzato dall’uso del bianco, non può e non deve generare equivoci.
Pacichelli era un apprezzato cartografo. Certamente non fu, invece, un araldista.
Le sue “libertà”, in questo ambito, dunque, non hanno alcun significato particolare.
D’altro canto, a testimoniare il fatto che lo stemma di Sorrento non abbia subito alterazioni almeno negli ultimi 5 secoli, concorre un disegno: quello custodito presso la Biblioteca Angelica di Roma. A proposito di quest’ultima è particolarmente interessante lo studio del comandante Antonino Di Leva (intitolato “La Città di Sorrento in piano”) che soffermandosi su alcuni aspetti caratterizzanti del disegno, ne ipotizza una possibile datazione in epoca successiva allo sbarco (ed all’azione devastatrice) dei saraceni del 1558.
In effetti l’autore citato porta avanti il suo ragionamento evidenziando che, proprio il disegno in questione, si caratterizza per la raffigurazione di edifici e monumenti che consentono di ricavare, con scarsi margini di approssimazione, l’epoca in cui esso vide la luce.
Altri studiosi altrettanto famosi, invece, sostengono con vigore ipotesi tendenti ad attestare una datazione dell’ “opera” ancora più remota.
Non desiderando entrare nel merito della polemica, ci limitiamo ad osservare che la raffigurazione offerta dal disegno è, in ogni caso, risalente al XVI secolo, e presenta uno stemma della Città uguale a quello che viene adoperato ai giorni nostri.
Molto interessante, ai fini della nostra ricerca, infine, risulterà la prossima ufficializzazione dell’esistenza di un’altra stampa – in possesso di Nino Cuomo – probabilmente realizzata agli inizi del ‘500. In essa i cinque Santi Patroni sono raffigurati inginocchiati ai piedi della Madonna del Rosario e sovrastano una pianta di Sorrento su cui figurano anche uno stemma borbonico ed uno del capoluogo della Terra delle Sirene. Quest’ultimo caratterizzato dalla presenza di cinque fusi.
Si tratta di una immagine particolarmente suggestiva soprattutto, perché capace di rendere tangibile, anche dal punto di vista ottico, il significato dell’arma della Città di Sorrento esaltando l’accostamento tra fusi e Patroni celesti.
© Testo integralmente tratto da “Lo stemma della Città di Sorrento, origine e significato, certezze ed ipotesi, note araldiche e cavalleresche” di Fabrizio Guastafierro, pubblicato a Sorrento nel 2005 da Edizioni Gutenberg ’72 Sorrento