Casinò a Sorrento, la relazione alla proposta Mormone (4)
In altri termini e sia pure in maniera sintetica si è avuto modo di evidenziare quanto già detto in premessa e cioè che la materia della regolamentazione e della disciplina delle case da gioco in Italia è particolarmente controversa. È evidente che fino ad ora il gioco d’ azzardo è stato considerato come un qualcosa di immorale e si è inteso giocare di «fino» nel tentativo di sentirsi almeno formalmente a posto con la propria coscienza.
È una falsa soluzione ad un vero problema.
Risulta accertato, infatti, che il gioco d’ azzardo non autorizzato costituisce una delle fonti di guadagno più consistenti della malavita organizzata.
Il fenomeno di per se stesso deprecabile testimonia inequivocabilmente il fatto che la gente comune pur in presenza di chiare disposizioni legislative non disdegna il gioco d’ azzardo anche se sa di rivolgersi ad organizzazioni filo-mafiose.
Al di là della lotta al fenomeno appena individuato, si ritiene che la lotta alla malavita organizzata debba passare anche per una regolamentazione della materia che diversamente consente la creazione di un monopolio non riconosciuto.
Peraltro regolamentare il gioco d’ azzardo e la istituzione delle case da gioco su tutto il territorio nazionale può consentire il raggiungimento di finalità socialmente utili.
Richiama quindi la sua proposta di legge con la quale non si mira solo ad ottenere l’ istituzione di una casa da gioco a Sorrento, ma si punta soprattutto ad un discorso occupazionale ed al raggiungimento della soddisfazione delle aspettative delle comunità locali.
Ritiene, inoltre, che proprio partendo dalla regolamentazione del gioco d’ azzardo si possa avviare quel tanto auspicato discorso di diversificazione dell’ economia in senso liberista, da una parte, e federalista, dall’altra.
Se si recuperasse non solo in suo progetto di legge, ma anche quelli già presentati nelle precedenti legislature si avrebbe una prova tangibile di quanto affermato.
Nella maggior parte dei casi, infatti, sentito il parere dell’ Anit si è individuata la necessità di concedere l’apertura di una casa da gioco per ogni regione italiana. Per motivi non solo politici ritiene opportuno richiamare la proposta di legge Martinat ed altri. Essa è stata motivo di studio e spunto per la elaborazione di una proposta personale. Ebbene, ferma restando la necessità di apportare degli opportuni correttivi, ritiene sia il caso di recepire un messaggio importante. Ogni regione deve avere la sua casa da gioco. In più proposte di legge c’è una certa convergenza, che in questa sede ritiene esemplificativa e non certo esaustiva sui seguenti nomi: Piemonte: Acqui Terme; Liguria: San Remo; Valle d’Aosta: Saint Vincent; Trentino Alto Adige: Merano – Cortina d’Ampezzo; Veneto: Venezia; Friuli Venezia Giulia: Grado – Lignano Sabbiadoro; Lombardia: Campione d’Italia, San Pellegrino – Gardone Riviera; Toscana: Bagni di Lucca – Montecatini Terme; Emilia Romagna: Riccione – Salsomaggiore Terme; Lazio: Anzio – Rieti; Abruzzo: Polignano a Mare; Molise: Vasto; Campania: Sorrento; Calabria: Lamezia Terme, Catanzaro; Basilicata: Maratea; Sicilia: Taormina; Sardegna: Alghero (Quartu-Sant’Elena e Pula).
Nell’ elencazione dei nomi si è tenuto rigorosamente alla elencazione contenuta in precedenti proposte di legge e che, è possibile esprimere diversi ulteriori nomi anche perché non vengono individuate località per regioni come Puglia, Marche, ed Umbria.
Se ogni regione avesse una propria casa da gioco i cui introiti fossero destinati al perseguimento di precisi obiettivi si sarebbe di fatto avviato il discorso del federalismo economico. Per una volta, la prima, il Parlamento Italiano potrebbe avviare il dibattito non in funzione di nuove tasse o di aumento di imposte preesistenti. Anche i principi federalisti potrebbero essere visti in una ottica particolarmente favorevole perché nascente da un principio non discriminante e soprattutto perché fondato sul principio della soddisfazione dei desideri delle comunità locali.
Se le case da gioco di Venezia, di San Remo, di Campione d’Italia e di Saint Vincent sono nate perché con gli introiti delle stesse fossero soddisfatte le esigenze della collettività perché non allargare il discorso a tutto il territorio nazionale? Perché non far comprendere a tutti che federalismo non significa separatismo? Perché contorcersi le meningi dietro a complessi artifici finanziari quando la soluzione – certo non l’ unica, né quella risolutiva per antonomasia – è lì a portata di mano?