Casinò a Sorrento, la relazione alla proposta Mormone (3)
Poc’ anzi si è detto che lo stesso Stato Italiano di fatto autorizza lo svolgimento del gioco d’azzardo ed ha consentito l’ apertura di quattro Case da Gioco. Anche se a titolo di memoria storica è, comunque, il caso di ricordare che i provvedimenti legislativi con i quali sono state implicitamente autorizzate le case da gioco di San Remo, Campione e Venezia sono rispettivamente: il regio decreto-legge 22 dicembre 1927, n. 2446; il regio decreto-legge 2 marzo 1933, n. 201 ed il regio decreto-legge 16 luglio 1936, n. 1404.
Occorre subito rilevare che in nessuno di tali provvedimenti il legislatore ha autorizzato in maniera chiara l’ apertura della casa da gioco. Prova ne sia il fatto che il provvedimento del 1927, riguardante San Remo, all’articolo 1 così statuisce: «È data facoltà al Ministro per l’Interno di autorizzare, anche in deroga alle leggi vigenti, purché senza aggravio per il bilancio dello Stato, il comune di San Remo ad adottare tutti i provvedimenti necessari per poter addivenire all’assestamento del proprio bilancio ed alla esecuzione delle opere pubbliche indilazionabili». Identica fu la formula cui fece ricorso il legislatore nei regio decreto-legge 2 marzo 1933, n. 201, concernente «Provvedimenti a favore del Comune di Campione».
Infine, con il regio decreto-legge 16 luglio 1936 n. 1404, che consta di un unico articolo, il legislatore così statuisce: «Le disposizioni del regio decreto-legge 22 dicembre 1927, n. 2448, convertito nella legge 27 dicembre 1928 n. 3125, recante provvedimenti a favore di San Remo, sono estese al Comune di Venezia».
Qualche malizioso osservatore potrebbe rilevare che tutti i provvedimenti legislativi appena citati risalgono in una «epoca storica ben definita». Se ciò fosse fatto si commetterebbe un gravissimo errore.
Anche nel dopoguerra, infatti, sia pure in maniera diversa lo Stato Italiano ha consentito l’ apertura di una nuova casa da gioco: quella di Saint Vincent. Anzi ad onor del vero in questa circostanza l’ autorizzazione all’ apertura della casa da gioco è stata accordata addirittura esplicitamente seppure in virtù di quei contorcimenti legislativi cui si ò appena fatto riferimento. L’ apertura della casa da gioco di Saint Vincent, infatti, ò stata autorizzata con decreto del Presidente del Consiglio della Valle d’Aosta in data 3 aprile 1946. Il decreto si richiamava al n. 9 dell’articolo 12 del decreto-legge luogotenenziale 7 settembre 1945, n. 5454, con il quale la Valle era stata costituita in circoscrizione autonoma. L’ articolo 12 citato, relativo alla competenza amministrativa della Valle, nel n. 9, infatti, prevedeva: «iniziative in materia turistica, vigilanza alberghiera, tutela del paesaggio e vigilanza sulla conservazione delle antichità e delle opere artistiche». In esecuzione del citato decreto del presidente, il Consiglio della Valle, il 17 maggio 1946, approvava la concessione alla S.I.T.A.V. dell’ esercizio di una casa da gioco per la durata di anni dieci, concessione, poi, ulteriormente prorogata. La Casa da Gioco venne aperta il 29 marzo 1947 e da allora la S.I.T.A.V. ha versato alla esattoria della Valle, prima, e della Regione, poi, in adempimento dell’ atto di concessione, il 76 per cento degli introiti lordi di gioco e proventi degli ingressi alle sale.
La Valle d’ Aosta da circoscrizione autonoma venne costituita in Regione Autonoma con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, che nell’ articolo 12 stabilisce tra l’altro: “Per provvedere a scopi determinati, che non rientrino nelle funzioni normali della Valle, lo Stato assegna alla stessa, per legge contributi speciali”.
In attesa della legge sull’ ordinamento finanziario della regione Valdostana (che fu emanata solo nel 1955 con la legge 29 novembre 1955, n. 1179) lo Stato concesse “contributi ed acconti provvisori” con le seguenti leggi: 29 luglio 1949, n. 486; 29 dicembre 1950; 2 marzo 1954, n. 27; 3 maggio 1955, n. 397, nelle quali il quantum del contributo speciale, che lo Stato si era impegnato ad assegnare alla regione, venne determinato computandosi tra le entrate della regione i proventi della casa da gioco di Saint Vincent, come risulta dalle relazioni e dalle discussioni che avevano preceduto l’ approvazione delle leggi stesse. Neppure l’ ordinamento definitivo della Valle di Aosta di cui alla legge 29 novembre 1955, n. 1179, che nell’ articolo 2 prevede le entrate della regione, sono menzionati i proventi della casa da gioco di Saint Vincent.
La mancanza di un provvedimento legislativo statale che, in deroga agli articoli 718, 719, 729, 721 e 722 del codice penale, autorizzasse l’ apertura della casa da gioco, ha fatto sorgere dubbi sulla legittimità di tale casa da gioco; dubbi, peraltro, risolti negativamente dalla giurisprudenza.
Il Tribunale di Firenze, con sentenza 9 dicembre 1961, pur riconoscendo la illegittimità dell’ atto amministrativo del Presidente del Consiglio della Valle d’ Aosta, perché, invadendo il campo riservato al potere delle norme penali di cui agli articoli 718,719,720,721 e 722 del codice penale ha affermato che le norme penali relative al gioco d’ azzardo devono ritenersi abrogate in virtù di successivi interventi e manifestazioni di volontà del legislatore, se pure tacitamente espresse, che non potevano avere altro significato che quello di implicita autorizzazione all’ esercizio del gioco d’ azzardo.
La decisione del Tribunale di Firenze è stata via via confermata fino a giungere alle Sezioni unite della Corte di Cassazione. Diversa, invece, è stata la sorte della casa da gioco di Taormina. La Corte di Cassazione ha, infatti, ritenuto – con sentenza 11 novembre 1964 – che il r.d. 31 maggio 1935, n. 1410, istitutivo dell’ ETAL (Ente Turistico Alberghiero della Libia che trasferitosi in Italia otteneva, con decreto interministeriale 30 aprile 1947, l’ autorizzazione ad esplicare in Italia le attività economiche già esercitate in Libia) non autorizzava né espressamente né implicitamente questo ente ad istituire una casa da gioco e che quindi l’ ente non poteva cedere ad altri, come aveva fatto, una autorizzazione legalmente inesistente, perché il decreto menzionato non conteneva la facoltà di emettere provvedimenti anche in deroga alle leggi vigenti e quindi al codice penale.
È opportuno premettere ai fini della migliore comprensione della questione che il r.d. 31 maggio 1935, n. 1410 (atto avente forma di legge ai sensi del regio decreto-legge 3 dicembre 1934, n. 2012, articolo 14), istituiva l’ ETAL con il compito di svolgere attività di pubblico interesse, e più esattamente «promuovere ed incrementare il movimento turistico in Libia; dirigere e coordinare l’ azione che istituti, organizzazioni, società, comitati e privati svolgono in tale campo, nonché gestire alberghi e svolgere ogni altra attività attinente allo scopo predetto».
Nello statuto dell’Ente (Decreto Ministeriale 24 giugno 1935) si precisava che “per il raggiungimento degli scopi fissati” esso avrebbe potuto adottare ogni iniziativa «per lo sviluppo dei luoghi di cura e soggiorno».
Con deliberazione 18 agosto 1937, n. 257 il Municipio di Tripoli (la deliberazione fu approvata espressamente dal Governo con visto numero 22328 del 17 agosto 1937) concesse all’ ETAL l’ esercizio della casa da gioco in quella città (così disponeva la suddetta deliberazione: «Rilevato che per sopravvenuta costituzione dell’ Ente Turistico ed Alberghiero della Libia (E.T.A.L.) di cui al R.D. 31 maggio 1935 XIII n. 1410 tutte le attività inerenti alla propaganda turistica sono divenute di esclusiva competenza dell’ Ente stesso – che ha l’ obbligo di devolvere i propri proventi a favore dello sviluppo turistico … delibera di revocare la concessione dell’ esercizio dei giochi … e di passare la concessione all’ ETAL»).
Con legge 18 maggio 1948, n. 669, si stabilì, poi che «gli enti istituiti per l’ esercizio di attività economiche nell’ Africa Orientale Italiana, di intesa con i Ministri per le Finanze e per le Corporazioni, potevano estendere tali attività anche fuori del predetto territorio, osservate le disposizioni vigenti in materia».
Con decreto del 30 aprile 1947 del Ministro per l’Africa Italiana, l’ ETAL venne autorizzato ad esercitare in Italia gestioni alberghiere e altre attività economiche previste dall’articolo 1 del r.d. 31 maggio 1935, n. 1410.
In base a tali provvedimenti legislativi l’ ETAL chiese alla regione Sicilia di consentire l’ esercizio di una casa da gioco in Taormina e di stabilire le manifestazioni turistiche, culturali e sportive che dovevano essere finanziate nonché le quote di entrate che la regione si riservava e gli oneri imposti alla società concessionaria.
Fu così stipulata una convenzione e con decreto 27 aprile 1949, pubblicato sulla G.U. 30 aprile 1949, l’ assessorato competente manifestò il suo consenso all’ esercizio ed alla scelta della sede. La Casa da Gioco iniziava la sua attività nel 1962 e il Pretore di Taormina, con sentenza 19 febbraio 1963 riteneva legittima la sua apertura. Di diverso avviso era, invece, il Tribunale de L’Aquila – al quale la controversia era stata rimessa per legittima suspicione – secondo cui la legittimità della Casa da Gioco di Taormina trovava il suo fondamento nella legge 18 febbraio 1963, n. 67, che aveva tra l’ altro, istituito una addizionale sui biglietti e sulle tessere di ingresso alle case da gioco.
Una tappa saliente nella storia della casa da gioco di Taormina è stata segnata dalla Corte Suprema il 14 novembre 1964, allorquando con la decisione già menzionata si annullava detta sentenza e si rimettevano gli atti al Tribunale di Roma il quale in data 16 gennaio 1966, ponendo fine, almeno per il momento, alla complessa vicenda giudiziaria, affermava che l’ apertura e l’ esercizio a Taormina di una Casa da Gioco costituivano attività illecita secondo le leggi dello Stato, non potendo il titolare di essa vantare alcun diritto, né in base a provvedimenti regionali, assolutamente privi di effetti esimenti, né in base a precedenti provvedimenti statali, revocati o dichiarati privi di efficacia.
Perdurando in una linea contraddittoria, almeno se il tutto viene riferito con le vicende della casa da gioco di Saint Vincent si precisava, inoltre, che tale liceità non poteva neppure ricondursi a manifestazioni legislative dello Stato, successive all’ apertura dell’ esercizio, in quanto, né la legge 18 febbraio 1963, n. 67, che istituiva un diritto addizionale dello Stato sui biglietti d’ ingresso alle case da gioco, né le due leggi di bilancio 26 giugno 1964, n. 444 e 27 febbraio 1965, n. 49, contenevano un richiamo nominativo alle case da gioco contribuenti.
Secondo il Tribunale, infatti, «la legge n. 67 non contiene alcun riferimento al casinò di Taormina (come neppure, peraltro, a quelli autorizzati); essa inoltre non rappresenta una novità, come erroneamente affermato dal Tribunale de L’ Aquila e sostenuto dalla difesa, non ha istituito il diritto addizionale sui biglietti di ingresso alle Case da Gioco, né ha per la prima volta previsto tasse ed imposte relativamente alle case da gioco.