Casinò a Sorrento, la relazione alla proposta Mormone (1)
Mercoledì 5 ottobre 1994 Commissione X
BERGAMO: Istituzione di una casa da gioco nel comune di Scalea (1086).
(Parere della I, della II, della V e della VI Commissione).
(Seguito dell’esame e costituzione di un Comitato ristretto).
Antonio MORMONE (gruppo alleanza nazionale-MSI) condivide il contenuto della relazione svolta dal relatore e condivide altresì l’ ipotesi di procedere alla costituzione di un Comitato ristretto che consenta la definizione di un testo di legge per regolamentare il gioco d’ azzardo poichè è di questo che si discute e non tanto della istituzione di case da gioco. Fa presente, quindi, di aver predisposto un intervento che ripercorre anche le tappe storiche della questione e chiarisce i diversi aspetti connessi con una disciplina del settore. Fa presente quindi che da troppi anni l’ ordinamento giuridico italiano vive una insostenibile contraddizione circa la materia della regolamentazione e la disciplina delle case da gioco e dello stesso gioco d’ azzardo. Prima di entrare nel vivo dell’argomento sotto i profili tecnico e legislativo è interessante stabilire quando è nato il gioco d’azzardo. Anni addietro, nel corso di un avvincente ciclo di conferenze è stato condotto uno studio approfondito successivamente pubblicato dalla Casa Editrice Jovene di Napoli. In quella sede si ebbe modo di evidenziare, per l’ appunto, che stabilire l‘ origine del gioco d’azzardo è interessante, ma impossibile. “Il gioco d’azzardo è un fenomeno psicologico, come il fuoco è un fenomeno fisico: e non vi è altro modo di accertare quando l’ uomo si imbattè nell’ uno o nell’ altro. Il primo uomo, che si sappia, apparve diversi milioni di anni fa. Poiché nei primi anni era occupato soprattutto, a procurarsi cibo, può darsi che l’ uomo dell’ età della pietra abbia scoperto la funzione delle probabilità in rapporto alla caccia.
Andava a dormire, dopo aver piazzato la sua brava trappola, ma non era affatto sicuro di trovare un animale il giorno dopo.
Prima o poi dovette imparare che le probabilità di approvvigionarsi sarebbero aumentate se avesse lasciato un minor margine al caso; ed una volta scoperti il caso e la probabilità, si era avviato nella strada della scommessa e del gioco d’ azzardo. Ci sono sei grandi gruppi razziali: bianchi arcaici, caucasoidi, australoidi, mongoloidi, amerinidi e negroidi. È provato che tutti detti gruppi conobbero il giuoco d’azzardo sin dai tempi più remoti. È dunque legittimo ritenere che, già prima di scindersi nei vari gruppi, l’umanità possedesse la nozione del gioco.
In generale, i giochi sono competizioni di vario tipo; quasi certamente il primo gioco fu la lotta, una contesa in cui prevaleva la forza fisica.
Probabilmente le gare di abilità, ad esempio: quelle in cui si trattava di colpire un bersaglio, vennero più tardi. A questo punto dovette nascere l’ idea di un gioco in cui la scelta del vincitore fosse affidata al caso. Furono, forse, i meno forti ed i meno abili ad inventare i giochi che simulavano le gare vere e proprie, ma che in effetti erano decisi dalla sorte: forse, i primi giocatori d’azzardo stabilirono, invece di scagliare la pietra o la lancia contro il bersaglio, di lanciare in aria una pietra, una conchiglia, un osso. Il caso avrebbe deciso su quale faccia farlo cadere. Il dado fu il primo frutto di una trasformazione della pietra, della conchiglia o dell’ osso (anzi, il primo dado fu un astragalo, un osso del tarso della pecora). Le gare di velocità (corse) apparvero contemporaneamente alla lotta; e dalla imitazione della corsa derivarono certi giochi del tipo della tavola reale, in cui i giocatori, rappresentati dalle pedine, si spostavano di un certo numero di passi dalla scacchiera o tabella, secondo i punti segnati dai dadi. La tavola reale è il più antico gioco del genere che si conosca; ne esistono infinite varianti in tutte le civiltà.
Per ricostruire, comunque, come sia nato il gioco all’ alba dell’ umanità ci si può affidare solo a congetture. Ciò che è certo è che il gioco fin dai primordi della civiltà ha costituito una esigenza insopprimibile dell’animo umano. E già con l’ apparire delle prime civiltà si comincia ad avere qualche documento. Ecco, per esempio, come da un gioco sarebbe nato il nostro anno solare, secondo un testo trovato nella piramide di Cheope o Gireh, vicino al Cairo. Nut, dea del Cielo, aveva segretamente sposato il fratello Geb, suscitando l’ ira di Randio del Creato. Per punirla, Ra decretò che in nessun giorno dell’ anno Nut avrebbe potuto procreare. Ma Thoth, il buon dio della notte, giocò alle «tavolette» (ai dadi, probabilmente) con la luna. La posta era un settantaduesimo della luce. Grazie al magico influsso di Nut, Thoth vinse ed offrì a Nut la vincita, con la quale si misero insieme cinque giorni da aggiungere al calendario egiziano, che era di 360 giorni. Così, in questi cinque giorni sottratti alla giurisdizione di Ra, Nut potè dare alla luce cinque figli: Iside, Osiride, Horus, Seth e Nepthgs.
Da questa leggenda risulta chiaramente che il giuoco d’ azzardo esisteva già molto prima del 3000 a.C., epoca in cui fu costruita la piramide di Cheope. Del resto che gli egizi conoscessero il giuoco è provato anche dalla scoperta di dadi di avorio a Tebe, databili al 1573 a.C. attualmente conservati in un museo di Berlino; da una pittura murale (ora al British Museum) che raffigura due giocatori di «atep», un gioco di pura fortuna in cui bisognava indovinare il numero delle dita tese dall’ avversario (una specie di morra, dunque) e da una sorta di scacchiera della regina Hatasu (1600 a.C.), ora al British Museum.
Presso gli antichi greci la passione del gioco fu largamente diffusa, per cui specialmente gli abitanti di Corinto ebbero fama di giocatori sfrenati, tanto che si racconta che Chilone, che fu uno dei sette savi della Grecia, essendo stato inviato per trattare l’ alleanza con quelli di Corinto, si sdegnò nel trovare magistrati, generali e donne intenti al gioco. Non pare, però, che i greci punissero il giocatore d’ azzardo, salvo un certo pubblico disprezzo di coloro che lo praticavano.
I romani condannavano il gioco pur apprezzandone moltissimo i piaceri. Dare del giocatore a qualcuno (aleator) significava ingiuriarlo; e le leggi, proibendo il gioco, proteggevano solo chi perdeva. Chi vinceva, infatti, non poteva reclamare in Tribunale il denaro vinto, mentre chi perdeva poteva recuperare i suoi beni. Ma in pratica i giudici si regolavano diversamente da come avrebbe teoricamente voluto il diritto.
Gli imperatori si succedevano, ma il gioco restava a caratterizzare stabilmente la vita della società romana. Durante i Saturnali del mese di dicembre il gioco era legale e, del resto, molti furono gli imperatori, fra cui Augusto, Caligola, Nerone, Domiziano, Eliogabalo, che non dettero buon esempio ai sudditi. Gli scavi archeologici hanno portato alla luce una notevole quantità di oggetti che dimostrano quanto gli antichi romani amassero il gioco. C’è, per esempio, il frammento dell’insegna di una taverna del quartiere dei pretoriani in cui si avvertivano i clienti, che per mangiare e per giocare, i tavoli erano sempre disponibili. Ci sono dadi truccati provenienti dagli scavi di Pompei; un trittico in cui si vedono due uomini che giocano a tavola reale in una taverna; scacchiere di 36 riquadri.
Presso i romani persino gli imperatori e, fra questi Cesare Nerone si appassionavano al gioco dei dadi. Svetonio fece menzione di un trattato sui dadi scritto dall’ imperatore Claudio, nonché di Caligola che barava e di Domiziano e Comodo anch’essi molto appassionati al gioco, al quale un altro imperatore, cioè Vero, era solito dedicare intere notti. Nel medioevo, secondo Tacito, i Germani giunsero a tale eccesso che giocavano le loro persone, quando avevano giocato tutto e non avevano altro; ed allora chi aveva perduto, quantunque più giovane e più forte dell’ avversario, si arrendeva, facendosi legare e quindi vendere allo straniero.
Secondo Sant’ Ambrogio, gli Unni, dopo aver giocato le loro armi, giocavano la vita e si davano la morte quando avevano perduto, quantunque si opponesse a ciò il vincitore. E secondo l’ affermazione di Pascazio Giusto pare che un veneziano si giocasse la moglie, e un cinese la moglie ed i figli.
In Russia si giocavano anche le persone dei contadini. Nell’ XI secolo il Cardinale Pietro Damien condannò un vescovo di Firenze che aveva giocato in un albergo a recitare per tre volte di seguito il libro dei salmi di Davide, a lavare i piedi di dodici poveri e a dare loro uno scudo per ciascuno.
Carlo Magno, poi, nei suoi Capitolari, proibì i giochi d’ azzardo sotto pena di essere privati della comunione dei fedeli. Carlo IX con una ordinanza in data 10 gennaio 1560, proibì le bische, i postriboli ed il gioco dei birilli sotto pena di essere assoggettati a punizioni straordinarie. Al tempo di Enrico II, di Francesco II e di Enrico III i giocatori non furono troppo molestati, mentre al tempo di Enrico IV (secolo XVI) ebbero la più ampia libertà. Luigi XIII, il 30 maggio 1611, dispose che, nel caso di sorpresa in flagranza, quelli che si dedicavano a giochi proibiti dovevano subire la confisca del denaro e degli altri oggetti esposti nel gioco. Le cose confiscate dovevano essere date ai poveri.
Anche il clero dava cattivo esempio con il giocare d’ azzardo, ed a nulla valevano le deliberazioni prese in proposito nei diversi concili. E così un Vescovo di Langres, nella Francia, avendo dato scandalo a quelli della sua diocesi con il gioco, ebbe a meritarsi una epigrafe nella quale si diceva che il buon prelato che giaceva sotto quella pietra aveva amato il gioco più degli altri uomini; che quando era morto non aveva più nulla; e siccome per lui il perdere era una abitudine, se aveva guadagnato il paradiso si doveva presumere che doveva essere questo un gran colpo di azzardo.
Il Cardinale Mazzarino nel secolo XVII, al tempo del Re Sole Luigi XIV, ristabilì l’ uso di giocare d’ azzardo; e anzi nei secoli XVII e XVIII, in Francia, per ottenere delle cariche elevate, occorreva dimostrare di essere un provetto giocatore.
Il codice penale Sardo del 1859 vietava tutti i giochi d’ azzardo che, invece, il codice Toscano del 1853 (in vigore sino al 1890) vietava soltanto nei luoghi pubblici o aperti al pubblico o esposti alla vista del pubblico».
Fin qui la storia. Una storia nella cui esposizione volutamente non si è parlato dei precedenti in Asia (ed in particolare in Cina) ed in Africa che pure sono numerosi ed assai antichi. Ciò che conta, comunque, è che il gioco d’ azzardo è un fenomeno psicologico non sopprimibile. Se questo è vero è altrettanto vero che la materia deve assolutamente essere regolamentata. Venendo ai giorni nostri e passando alla realtà italiana rileva che il gioco d’ azzardo è formalmente assolutamente vietato dagli articoli 718, 719, 720, 721 e 722 del codice penale, ma di fatto esso viene autorizzato anche se mediante il ricorso, come si vedrà più avanti, ad una serie di contorsioni legislative almeno per quattro casi. Tutto ciò non è più tollerabile, così come non è più tollerabile la disparità normativa rispetto agli ordinamenti giuridici degli altri Stati membri della Comunità Europea.