Sorrento e la sua struttura idrogeologica (II Parte)
I terreni quaternari più antichi della Penisola Sorrentina comprendono conglomerati e brecce calcaree deposti in conche o su ripiani morfologici durante il Pleistocene inferiore e il Pleistocene medio (periodi della durata di oltre un milione di anni e di quasi seicentomila anni, rispettivamente); sono falde e conoidi detritiche generate dalla disgregazione dei versanti creati dalla intensa tettonica surrettiva pleistocenica, responsabile di una preliminare sbozzatura del promontorio sorrentino e dell’ acquisizione di un primo consistente volume orografico.
Sui fianchi meridionali della dorsale sorrentina sono stati riconosciuti depositi di spiaggia antichi, oggi a circa 200 metri di quota, sollevati nel Pleistocene medio da fasi tettoniche che hanno, da un lato ridotto ulteriormente il perimetro costiero della penisola, e dall’ altro accentuato l’ altimetria della parte emersa.
Lembi di depositi di spiagge ciottolose più recenti, della fine del Pleistocene medio, sono a circa 50 m di quota; dello stesso periodo sono gli accumuli di brecce crioclastiche cementate, i cui relitti sono oggi sospesi su alcune pozioni degli alti e ripidi versanti meridionali. La maggior parte dei depositi che gli eventi morfogenetici del Pleistocene inferiore e medio hanno prodotto nell’ area sorrentina è andata perduta o perché questi terreni sono sprofondati insieme al substrato calcareo nelle fasi di risagomatura tettonica che ha assottigliato la porzione emersa o perché direttamente scaricati a mare; di conseguenza, le coperture più estese e rappresentative per caratteri sedimentologici e composizionali sono quelle deposte durante il Quatemario recente (Pleistocene superiore-Olocene), quando la Penisola Sorrentina ha raggiunto una condizione di sostanziale tranquillità tettonica.
In alcuni tratti della costa meridionale sorrentina e nella vicina isola di Capri, sospesi a pochi metri sul livello del mare attuale (intorno agli 8m circa) sono conservati solchi d’ erosione marina e limitati accumuli di depositi di spiaggia riferibili al Pleistocene inferiore basale (circa 120,000 anni B.P.). Sul fianco settentrionale della Penisola Sorrentina le testimonianze erosionali e deposizionali di questa antica linea di riva non sono leggibili, mentre sono meglio conservati gli accumuli detriti coalluvionali che la relativamente lunga fase climatica fredda wurmiana, nel corso del Pleistocene superiore, ha prodotto sia nei fondovalle principali, che ai margini di versanti acclivi.
Un ruolo importante nel rifornimento di depositi recenti in quest’ area, Io ha avuto certamente l’ attività vulcanica dell’ area flegrea e del Somma – Vesuvio.
Forti sconvolgimenti sono stati provocati sul versante settentrionale della penisola Sorrentina (il più esposto) dall’ arrivo dei flussi ignirnbritici responsabili della messa in posto del Tufo Grigio Campano, un tufo litoide a fessurazione colonnare che, verso I’ alto, passa a facies incoerenti di spessore variabile. La “piana sorrentina” corrisponde alla superficie deposizionale di questa formazione geologica conosciuta anche come ignimbrite Campana.
Il Tufo Grigio ricopre, a luoghi, i depositi wurmiani più antichi, come nel vallone di Seiano, ma è ovviamente sottoposto a falde e conoidi detritiche che si sono prodotte durante l’ultima fase del periodo glaciale (Wurm III).
Nell’ Olocene si completa la morfogenesi con l’ accumulo di depositi di spiaggia in molti tratti della fascia costiera e con la deposizione di sequenze alluvionali nei fondovalle; queste ultime sono state fortemente alimentate anche se in modo discontinuo, dall’ arrivo in alveo dei terreni piroclastici provenienti dagli apparati vulcanici dei Campi Flegrei e del Vesuvio, erosi dai versanti circostanti.
I prodotti vulcanoclastíci che hanno mantellato, a più riprese, la dorsale sorrentina e, più in generale, tutti i rilievi carbonatici ai margini della Piana Campana, sono costituiti da cineriti e pomici che, nelle parti medio – alte degli impluvi e nelle zone apicali dei versanti (laddove le azioni di dilavamento e di scollamento sono state più intense) hanno spessore ridotto, fino a qualche decimetro. Alla base dei pendii, invece, hanno spessori maggiori (anche diversi metri) e formano depositi colluvionali, pedogenizzati nelle porzioni più superficiali, costituiti da cineriti di natura sabbioso-limosa, a luoghi frammiste ad abbondante detrito calcareo. I livelli e le lenti di pomici e sabbie vulcaniche sub-superficiali sono da riferire, in gran parte, ai prodotti piroclastici caduti sull’ area sorrentina durante l’ eruzione vesuviana del 79 d.C.
Numerosi sistemi di faglie e fratture intersecano le rocce affioranti nella Penisola Sorrentina con andamenti che sono riferibili a tre sistemi principali, con orientamenti all’ incirca Nord-Sud, Nord Ovest-Sud Est e Nord Est-Sud Ovest.
Gli elementi strutturali, sia diretti che inversi, hanno esercitato un forte controllo sulla configurazione generale del promontorio sorrentino. Una importante faglia inversa al fronte settentrionale di Monte S. Costanzo, ad esempio, ha determinato la sovrapposizione dei calcari cretacici sulle successioni arenaco-marnose mioceniche; tuttavia, la stragrande maggioranza delle faglie che bordano o intersecano il territorio sorrentino è di tipo diretto.
Le faglie trasversali all’asse di allungamento della Penisola hanno anche prodotto vistosi effetti sulla conformazione costiera come testimoniano le riseghe della falesia, soprattutto sul fianco meridionale. La zona tettonicamente ribassata (graben) tra Meta e Sorrento è delimitata da due faglie trasversali ad andamento Nord Ovest-Sud Est che, in prossimità della costa, formano le falesie strutturali di Punta Scutolo e Punta del Capo; al centro di questa zona ribassata si eleva una esigua dorsale (horst) che comprende il piccolo rilievo del Picco S. Angelo. Le faglie ad andamento Est-Ovest e Nord Est-Sud Ovest hanno sagomato la Penisola Sorrentina, creando un disegno costiero dall’ andamento quasi lineare (soprattutto sul fianco meridionale), marginato da alte falesie strutturali. In questo settore le faglie hanno determinato l’ assottigliamento del promontorio, ribassando al di sotto del mare un’ ampia porzione che dalla linea di costa attuale si estende fino alla ripida scarpata sommersa ad andamento Est-Ovest, al margine degli isolotti de Li Galli.
Da quanto brevemente esposto, si evince che la morfogenesi quaternaria dovuta agli agenti esogeni ha modellato un territorio sostanzialmente scolpito dalla tettonica.
Anche dal punto di vista idrogeologico la Penisola Sorrentina ricade nell’ unità idrogeologica dei Monti Lattari, un acquifero carbonatico molto permeabile per fratturazione e carsismo.
Tale unità è delimitata dalle coltri piroclastiche e detritiche della Piana del Sarno a nord-est, dalla depressione mofo-tettonica di Vietri – Nocera ad est e dal mare per gli altri lati. Oltre al complesso calcareo formato dalle successioni carbonatiche che rappresentano per estensione, spessore e permeabilità le principali rocce serbatoio del massiccio montuoso, questa Unità comprende il complesso arenaceo miocenico, il complesso detritico conglomeratico costituito prevalentemente dalle formazioni clastiche generate dal disfacimento dei versanti della morfostruttura carbonatica ed il complesso piroclastico, costituito da pomici, lapilli, ceneri e tufi. Questi terreni che, con spessori variabili ricoprono i rilievi, svolgono il ruolo di volano idrogeologico nel modulare il drenaggio di gran parte delle acque di apporto meteorico verso le falde dell’ acquifero carbonatico, la cui circolazione idrica è condizionata sia dalla diversa permeabilità dei termini che costituiscono la serie calcarea, che dalle dislocazioni tettoniche principali.
Le acque di infiltrazione efficace nei terreni carbonatici dell’ area percolano verso la falda di base presente alla quota del livello del mare, seguendo percorsi prevalentemente subverticali, la cui complessità è legata alla distribuzione della fratturazione, alla giacitura degli strati ed al grado di evoluzione del carsismo.
Inoltre la circolazione idrica superficiale è condizionata oltre che dalla maggiore o minore carsificazione e frantumazione della roccia per gli effetti crioclastici, gravitativi e tettonici, anche dallo spessore e dalla composizione della coltre detritico – piroclastica incoerente e dalla distribuzione delle precipitazioni piovose nel tempo.
Per effetto dell’alta permeabilità complessiva del mezzo carbonatico, le acque tendono ad allontanarsi, più o meno rapidamente, dalla superficie del suolo, ma la copertura piroclastica, alterata e pedogenizzata tende a rallentare I’ infiltrazione per la presenza di interstrati a granulometria molto fine, pari ad un limo argilloso.
Prevalentemente lungo il fronte settentrionale dell’ Unità carbonatica sono presenti diverse emergenze sorgentizie in prossimità della linea di costa al di sotto del livello del mare. Alcune di queste emergenze sono di acque minerali e termali: quali quelle nel Comune di Castellammare di Stabia (Antiche Terme Stabiane) e nel Comune di Vico Equense (Terme dello Sdraio).
L’ analisi della sismicità storica ed i recenti risultati degli studi sismotettonici hanno permesso di giungere a previsioni statistiche sulla massima sismicità attesa e sui suoi tempi di ritorno per gran parte del territorio italiano. Appare opportuno ricordare che la pericolosità sismica di un sito non è determinata solo dalla correlazione tra l’intensità ed il periodo di ritorno, ma anche dal meccanismo del terremoto, dalla legge di attenuazione del segnale sismico nel tragitto ipocentro-sito colpito, dal fattore di amplificazione locale e da altri ancora. L’attività sismica che interessa la Penisola Sorrentina quale propaggine carbonatica dell’ Appennino verso il Tirreno, comprende due diverse tipologie di sorgenti: quella connessa all’ evoluzione tettonica della catena appenninica e quella derivante dall’ attività vulcanica del Vesuvio, dei Campi Flegrei e dell’ isola d’ Ischia.
Dai dati esposti si evince che la Penisola Sorrentina risente dei terremoti tettonici appenninici e, in occasione di sismi di magnitudo elevata, possono raggiungersi intensità tali da provocare danni anche cospicui; per quanto attiene ai terremoti vulcanici gli scarsi dati disponibili indicano che le intensità registrate risultano elevate per i terremoti dell’ area flegrea e dell’ apparato del Vesuvio.
Per l’ area Sorrentina, lungo i margini dei rilievi carbonatici ricoperti da piroclastici sciolte e in corrispondenza della fascia costiera, i fenomeni franosi assumono una particolare gravità, sia per le diffuse precarie condizioni di stabilità dei versanti, che per il notevole carico antropico e di infrastrutture.
I fenomeni più diffusi in quest’ area comprendono frane in roccia calcarea (scivolamenti, crolli, ribaltamenti, caduta di blocchi detritici), frane da distacco di blocchi nel Tufo Grigio lungo le coste ed ai margini dei valloni e frane nella copertura piroclastica (scorrimenti traslativi – colate veloci detritico – piroclastiche).
Per quanto attiene alle situazioni di pericolosità da frana relativamente ai terreni del substrato calcareo, tutte le scarpate e le pareti rocciose sono da ritenere instabili e potenzialmente in arretramento per crolli e distacchi di blocchi; ovviamente le condizioni di pericolosità aumentano lungo i fronti più alti ed estesi, soprattutto dove si addensano e si intersecano i diversi sistemi di fratturazione. La pericolosità da frane per scivolamento traslativo sembra essere più limitata essendo controllata da condizioni strutturali sfavorevoli (giaciture a franapoggio e sistemi pervasivi di fratture) e/o dalla presenza di livelli a comportamento duttile intercalati nella successione calcarea.
Processi evolutivi molto rapidi e distruttivi interessano la falesia tufacea soggetta ad arretramento costante per crolli diffusi, sia nei tratti vivi, lambiti e scalzati dall’ erosione marina, che in quelli morti, sottratti all’azione diretta del mare da esigue cimose di spiagge sabbiose.
La pericolosità più elevata riguarda, però, i terreni della copertura piroclastica poggianti sulle rocce calcaree, in cui si attivano movimenti franosi a carattere catastrofico particolarmente diffusi in Penisola Sorrentina e in tutte quelle aree del territorio campano, che presentano analoghe caratteristiche geologiche.
L’ endemicità dei fenomeni franosi catastrofici dovuti allo scollamento improvviso delle coperture detritico – piroclastiche è anche testimoniato da ampie e diffuse aree denudazionali su alcuni tratti di versante, con forme blandamente concave. Le aree di accumulo di questi fenomeni franosi sono, ovviamente, localizzate alla base dei pendii.
I percorsi delle colate veloci di detriti fangosi sono pilotati dall’ andamento morfologico; vie preferenziali di transito delle colate sono certamente gli alvei torrentizi le cui acclività consentono percorsi che interessano sovente tutto il vallone, con accumulo nei tratti terminali. Ammassi fluidi di detriti rocciosi, fango e alberi diventano distruttivi anche a distanze notevoli dalle zone di distacco”.
Il testo che precede è integralmente tratto dalla Relazione del Piano Urbanistico Comunale di Sorrento predisposto dal Dirigente del IV Dipartimento del Comune di Sorrento, Ingegnere Guido Imperato con la consulenza del Prof. Arch. Guido Riano