Sorrento e il sistema agricolo e vegetazionale (II parte)
In molte zone della Penisola gli agrumi hanno preso il posto dell’ ulivo. L’ agronomo Savastano, all’ inizio del XX secolo, scrive “,.. che le trasformazioni più comuni fino a pochi anni fa erano da oliveto in agrumeto…”e parla della tecnica colturale di lasciare nei punti indifesi dal vento dei filari di olivo (G. Savastano, 1922, p, 7). Ma dopo la sistemazione del suolo, ulteriori investimenti erano necessari per la coltivazione degli agrumi, per proteggerla dagli eventi meteorologici sfavorevoli, il vento, Ia grandine e il gelo, che spesso impedivano al frutto di giungere alla maturazione. L’ introduzione delle tecniche che si rivelavano, o si ritenevano, più efficaci per la difesa dalle intemperie, come i frangivento e la copertura delle piante mediante i pergolati, ha contribuito alla definizione del paesaggio agrario sorrentino, di cui il giardino di aranci o di limoni è l’aspetto più significativo (F. D’Esposito, 1982, pp.29-37). Inoltre, la coltivazione in tali fondi veniva spesso strutturata, come ancora oggi, su almeno due o tre piani di coltura, con ortaggi e legumi al primo piano, agrumi al secondo, e in ultimo vite, noce e ulivo. Ne derivano elevatissimi livelli di produttività.
Le laboriose e costose opere di terrazzamento e di sistemazione agraria per gli ulivi e gli agrumi, nonché quelle di impianto e copertura degli agrumeti, furono resi possibili dall’ abbondante presenza di manodopera, unita ai capitali offerti dalla vicina metropoli. Come scrive il Rossi – Doria, l’ iniziativa della trasformazione delle terre, spesso in luoghi ingrati, lungo le pendici di montagne, fu dovuta ai più diversi strati della società e soprattutto al lavoro contadino, “… talvolta sono stati industriali e commercianti che, costituendo una fabbrica o un mercato di acquisto hanno dato la prima spinta alle piantagioni e alle sistemazioni irrigue; talvolta sono stati piccoli e medi proprietari borghesi, d’ una borghesia attiva e professionista, quale è spesso anche nel Mezzogiorno quella delle città e dei grossi borghi costieri. ” Ma molto spesso, invece, continua lo studioso, “… sono stati i contadini stessi che, sui fondi di loro proprietà o ottenendone da altri con lunghi e duri contratti, hanno creato dal nulla, con un tenace lavoro di zappa e dì vanga, le piantagioni più fiorenti. Per la natura stessa di queste colture e la piccolezza dei fondi sui quali esse sono sorte, la trasformazione è stata, quasi sempre, un miracolo del lavoro a mano, non dei capitali investiti: il capitale – se capitale c’è stato – è stato rappresentato soltanto dalla rinuncia al reddito e dal sostentamento dei lavoratori per gli anni che occorreva attendere perché traessero in produzione le piantagioni (M. Rossi-Doria, 1946, p.67).
Insieme al lavoro del contadino, quindi, si è aggiunto l’ apporto del capitalista. L’ uso del pergolato, ad esempio, fu favorito da alcuni ricchi imprenditori della Penisola, per i quali agrumicultura e marineria a vela formavano un binomio inscindibile.
Uno dei personaggi più importanti in tal senso fu il banchiere e imprenditore Tommaso Astarita, il quale tra il 1907 e il 1920 acquisì, o formò, in Penisola molti agrumeti (F. D’Esposito, 2003): a Piano, la Starza e il fondo Trinità; a Sorrento, il Fondo La Carta; al Capo di Sorrento i Fondi S. Fortunata e Scivano, a Massalubrense i Fondi Montanello, Vescovato e Villazzano o Capomassa, costituito quest’ ultimo con l’ acquisto di una ventina di piccoli appezzamenti; contribuì, inoltre, con la copertura degli agrumeti alla valorizzazione dei beni che aveva acquistato. Lo stesso si verificava nella Villa Il Pizzo a Sant’ Agnello, realizzata nella seconda metà dell’Ottocento da Mariano Arietta, importante banchiere e commerciante napoletano. Fino a quel momento la copertura in Penisola era limitata ai limoneti, ma nel 1919 proprio al Pizzo fu compiuto i! primo tentativo di copertura per gli aranceti, dato l’ improvviso rialzo del prezzo (G. Savastano, 1922, p. 8). Notevoli investimenti in agricoltura effettuò anche Francesco Saverio Ciampa, il più importante armatore napoletano della sua epoca.
Per tutti i motivi qui elencati, i fondi agricoli in Penisola Sorrentina hanno sempre avuto un valore enorme, specie se confrontati con quelli di altre zone agrarie della Campania con colture analoghe.
La ricchezza dell’ agricoltura sorrentina, con il livello di benessere che ha determinato, assai elevato almeno per gli standard di una società di antico regime favorì, tra il XVIII secolo e gli inizi del XX, un notevole sviluppo demografico.
La pressione sulla terra che ne derivò fu notevolissima. Scrive Manlio Rossi – Doria: “,,. La proprietà, e ancor più le imprese sono letteralmente frantumate, salvo alcuni casi e in alcune zone. Anche astraendo dal fatto che molte di queste oasi intensive si sono sviluppate in zone di antica proprietà allodiale, caratterizzate da tempo da un notevole frazionamento fondiario la stessa trasformazione, fatta a braccia d’ uomo, e richiedente I’ attesa di alcuni anni, ha spinto al frazionamento delle proprietà. come al frazionamento delle imprese” (M. Rossi – Doria, 1946, p. 67).
Il frazionamento fondiario è documentato fin dal XVIII secolo, dal Catasto Onciario di Sorrento, studiato da Maria Rosaria Manganaro (M.R. manganaro, 1977 – 78). 14.159 moggi di terreno coltivabile della Città di Sorrento con alcuni suoi casali erano divisi tra 527 proprietari, vale a dire moggi 7,89 per proprietario: meno di due ettari per ognuno. Se escludiamo la proprietà nobiliare e quella ecclesiastica, la media della proprietà si riduce di quasi la metà, a poco più di un, ettaro.
Estremamente significativa è la presenza di 60 famiglie contadine (nella fonte sono detti bracciali) proprietarie della terra che coltivano: la media dei loro appezzamenti è ridotta a circa mezzo ettaro per ognuna. È evidente che queste 60 famiglie, insieme alle 72 famiglie di bracciali per i quali non è registrata alcuna proprietà, coltivavano i terreni di nobili, ecclesiastici e possidenti borghesi.
Le quotizzazioni demaniali dell’ epoca dei governi filo – francesi, le vendite – borboniche, francesi e post-unitarie – dei terreni della Chiesa, i proventi derivanti dalle attività marittime, la grande emigrazione transoceanica di fine Ottocento e inizio Novecento, hanno continuato il processo di frazionamento della proprietà, determinando un largo processo di crescita della piccola proprietà, sia borghese che contadina. L’ estensore della Monografia sulla Provincia di Napoli per l’ inchiesta agraria conosciuta come Inchiesta Jacini, ci parla delle cause del frazionamento fondiario a Sorrento intorno agli anni ’70 del XIX secolo (F. de Siervo, 1882, p. 40).
“,.. La popolazione della regione in parola è numerosa, dedita ai commerci e al mare, molti sono armatori, moltissimi naviganti periti e intrepidi) e perciò traggono dal mare, sul quale passano la giovinezza e l’ età adulta, capitali spesso rilevanti, se la fortuna seconda la loro intraprendenza. Parte di questi capitali vogliono impiegare nell’ acquisto di terre, per divenire proprietari, dopo di essere stati marinari; e per soddisfare codesto desiderio, non si preoccupano di impiegare il capitale anche a una ragione bassa. Deriva da questa tendenza lo elevarsi a dismisura del prezzo degli aranceti. Se l’ estensione di queste terre fosse molta, allora il prezzo ne sarebbe meno elevato ma siccome è poca e viene desiderata da molti essa viene sbocconcellata in parti veramente minuscole,”
Tale frazionamento viene secondato anche dalle vicende della trasmissione successoria della proprietà fondiaria. Come scrive il Bordiga all’ inizio del XX secolo, riferendosi a tutta l’ area napoletana, “… nelle eredità e ciò tanto più di frequente quanto più la proprietà familiare è piccola, ogni avente diritto cerca di avere la sua parte di ogni cespite e specialmente coltivati di terreni in natura, onde prevale l’ abitudine di far tante quote, quanti sono gli eredi, delle singole qualità di coltura, ossia del seminativo, dell’ orto, vigneto, pascolo, eco. A ciò si deve la creazione di appezzamenti che nelle zone di coltura intensiva giungono appena a 10-15-20 are.
Così purtroppo avviene, anche dove la proprietà è formata di terreni tanto prossimi che lontani al paese, volendo ognuno la sua parte dei primi (Regio parlamento italiano, 1909, p. 229).
Il processo di frazionamento della proprietà in Penisola Sorrentina perdurò, accentuandosi per la favorevole congiuntura economica del primo dopoguerra. Secondo i risultati dell’ indagine ordinata nel 1946 e condotta dall’ INEA sotto la direzione di Giuseppe Medici, la prima e unica specifica inchiesta sulla distribuzione della proprietà fondiaria in Italia (P.Tino, 1997, p. 15), circa i due terzi dei proprietari della Penisola possedevano fondi che non superano il mezzo ettaro di estensione (INEA,1947, pp. 32-33).
Ancora nel secondo dopoguerra, quindi, il frazionamento fondiario dominava il paesaggio agrario: chiaro indizio della sua intrinseca necessità nell’ agricoltura della Penisola Sorrentina. Come aveva sottolineato il Rossi – Doria, questi fondi non potevano che essere minuscoli, perché ritagliati nel corso dei secoli sulla capacità della famiglia contadina di fornire la forza-lavoro di cui abbisognavano proprietari e contadini sorrentini, per ottenere dai fertili, ma limitati terreni della Penisola quelle merci la cui commercializzazione era garantita dall’ accessibilità del mercato napoletano e dei mercati internazionali, si sono profusi in secoli di miglioramenti produttivi che hanno richiesto enormi apporti di lavoro e di capitali.
Hanno cosi creato i terrazzamenti dove sono stati messi a coltura viti, ulivi e limoni, realizzando, giardini di agrumi caratterizzati dall’ affollata geometria del piantato, dall’ austera gabbia dei frangivento e dalla complessa architettura del pergolato, dall’ inserimento di piante fatte crescere più in alto degli agrumi (ulivi, noci e viti a spalliera) con funzioni di frangivento e, nello stesso tempo, fonte di un reddito aggiuntivo.”
Il testo che precede è integralmente tratto dalla Relazione del Piano Urbanistico Comunale di Sorrento predisposto dal Dirigente del IV Dipartimento del Comune di Sorrento, Ingegnere Guido Imperato con la consulenza del Prof. Arch. Guido Riano